Il Presidente Joe Biden ha definito il terreno “la prossima frontiera per lo stoccaggio del carbonio” e alcuni legislatori e leader aziendali hanno descritto il carbonio come una nuova “coltura di base“.

Combinando le due cose – terreni agricoli e carbonio – si ottiene il “carbon farming” (coltivazione del carbonio), una pratica che, secondo i suoi sostenitori, potrebbe contribuire a ridurre il carbonio nell’atmosfera e a raggiungere gli obiettivi legati al clima.

Il DGB Group, uno sviluppatore di progetti su larga scala per il carbonio e la biodiversità, definisce il carbon farming come “un metodo agricolo che cattura il carbonio atmosferico, immagazzinandolo nel suolo, attraverso pratiche di gestione del territorio, come l’agricoltura rigenerativa e la riforestazione”.

Secondo il DGB Group, che è una filiale di una holding pubblica con sede nei Paesi Bassi che acquisisce aziende nei settori dell’energia, dell’agricoltura e dell’allevamento, il carbon farming “contribuisce ad aumentare la resilienza dei sistemi naturali, a promuovere la biodiversità e a mitigare gli impatti di un clima che cambia”.

Alcuni ritengono che il carbon farming sia anche una potenziale fonte di entrate per gli agricoltori e gli allevatori che sta guadagnando popolarità tra le grandi aziende – tra cui Apple, BP, Cargill, Facebook, General Mills, Google, McDonald’s, Microsoft e Target – che acquistano crediti di carbonio dagli agricoltori per compensare le loro emissioni.

Ma i critici affermano che ci sono poche prove che il carbon farming funzioni come promesso e che non è chiaro se le pratiche possano essere portate avanti per lunghi periodi e su vasta scala senza compromettere la produzione alimentare.

Sostengono inoltre che i programmi possono creare opportunità per “maneggi e operazioni di greenwashing [presentare come econogighe delle pratiche che lo sono solo in apparenza, NdT] che minano i reali progressi sul cambiamento climatico”, trasformando i programmi in “affari d’oro” per i “grandi inquinatori“.

In un’intervista a The Defender, Claire Robinson, managing editor di GMWatch, ha dichiarato:

“Il carbon farming è un altro modo in cui le multinazionali dell’agroalimentare stanno acquisendo il controllo sulla terra e sugli agricoltori.

“Le grandi aziende produttrici di sementi e di prodotti agrochimici, come la Bayer, si appropriano di terreni e impongono agli agricoltori di piantare alberi o di adottare determinate pratiche dettate dall’azienda, in nome del sequestro del carbonio, in modo che l’azienda possa trarre profitto dalla vendita di ‘crediti di carbonio’ sul mercato internazionale.

In realtà, il “carbon farming” è un esercizio di greenwashing guidato dal controllo aziendale dei sistemi alimentari e agricoli”.

Anche Souparna Lahiri, consulente senior per le politiche sul clima e la biodiversità della Global Forest Coalition, ha dichiarato a The Defender di ritenere che le aziende stiano approfittando dei programmi di carbon farming:

“Negli Stati Uniti abbiamo esempi di aziende agroalimentari come Cargill che hanno coinvolto i proprietari terrieri in programmi di carbon farming… promettendo loro denaro in cambio di crediti di carbonio. Questi crediti di carbonio vengono poi utilizzati per compensare le loro emissioni.

“Si tratta quindi di uno schema di compensazione che non contribuisce alla riduzione delle emissioni… Molti di questi sono progetti pilota. Ma sta accadendo”.

Carbon farming e obiettivi climatici

Gli attivisti del cambiamento climatico e i sostenitori del carbon farming, tra cui Bill Gates, sostengono che il settore dell’agricoltura, della silvicoltura e dell’uso del suolo è “responsabile del 24% di tutte le emissioni di gas serra – solo un punto percentuale in meno rispetto all’elettricità”, e che

“Più di un terzo della superficie terrestre libera dai ghiacci è dedicata all’agricoltura“.

Secondo Deutsche Welle, “I terreni sono depositi vitali di carbonio, ma l’agricoltura industriale, invece di assorbire la CO2, spesso la rilascia nell’atmosfera – ad esempio attraverso l’aratura che… può portare alla degradazione del suolo”.

Di conseguenza, all’industria agricola viene chiesto di contribuire al raggiungimento degli obiettivi climatici.

I fautori sostengono che il suolo può agire come un “vasto serbatoio di carbonio“, una “spugna di carbonio” o un “conto in banca” da cui il carbonio può essere “prelevato” o “depositato”.

“Con i metodi giusti, il carbonio può essere sequestrato a lungo termine nei terreni, per decenni, secoli o più”, secondo la Pesticide Action Network, dove per “sequestro del carbonio” si intende “la pratica di catturare il carbonio e impedire che venga rilasciato nell’atmosfera sotto forma di anidride carbonica”.

I metodi di carbon farming includono una serie di pratiche “low-tech”, tra cui la coltivazione di colture perenni che crescono anno dopo anno senza alcun disturbo umano del terreno, l’agroforestazione, che prevede l’integrazione di alberi e arbusti nella produzione di colture annuali e i “sistemi senza aratro”, che si concentrano su alternative all’uso di aratri, che disturbano il terreno.

Altri metodi includono la rotazione del bestiame per evitare il pascolo eccessivo; l’uso del biochar (carbone vegetale), che “migliora la capacità del suolo di trattenere i nutrienti, l’acqua e di aumentare i livelli di carbonio”; la conservazione delle praterie, il ripristino e la riumidificazione delle torbiere, la semina di colture con apparati radicali profondi e l’accumulo e la lenta decomposizione nel terreno dei materiali vegetali.

I fautori sostengono che i metodi di carbon farming migliorano la salute del terreno, proteggono dall’erosione, migliorano la biodiversità e aiutano gli agricoltori a guadagnare di più, ad assumere dipendenti locali e ad acquistare nuovi macchinari.

Secondo The Counter, “i terreni ricchi di materia organica tendono ad essere buoni: sono più resistenti alla siccità, meno inclini all’erosione, ospitano un maggior numero di organismi benefici del suolo e sono generalmente più adatti a far crescere colture sane con un minor numero di input sintetici”, aggiungendo che “la creazione di carbonio nel terreno sembra ora una chiave per la sopravvivenza del pianeta”.

I piccoli agricoltori ne sopportano il costo

Secondo Carbon Market Watch, l’attuazione “del monitoraggio, della verifica e della rendicontazione della cattura del carbonio [carbon capture] è estremamente costosa e comporta enormi incertezze“, comprese le difficoltà nel tracciare le potenziali perdite di carbonio.

Anche lo studio di Rabobank rileva che per ottenere il sequestro di 3,6 tonnellate metriche di carbonio per ettaro all’anno, gli agricoltori dovranno fare “investimenti significativi” per modificare le loro pratiche agricole, tra cui l’assunzione di esperti per eseguire analisi del suolo.

Secondo The Counter, “il costo della convalida e della verifica del sequestro di carbonio è troppo alto, mentre il valore finanziario dei crediti di carbonio è scarso. Di conseguenza, “gli agricoltori non sono necessariamente incentivati a cambiare radicalmente le loro pratiche di gestione della terra”.

Alcuni critici sostengono che l’agricoltura senza aratro “richiede di inondare i campi con tonnellate di … erbicida RoundUp (glifosato) e di piantare semi di soia o di mais ibrido resistenti al Roundup“, geneticamente modificati, annullando qualsiasi beneficio ambientale.

Altri, invece, sostengono che alcune pratiche agricole del carbon farming possono in realtà comportare una riduzione dei rendimenti e il conseguente disboscamento di ulteriori terreni da destinare all’agricoltura. Sono state inoltre espresse preoccupazioni per le pressioni al rialzo sui prezzi delle materie prime e sulla proprietà dei dati raccolti dagli agricoltori nell’ambito delle attività di monitoraggio e sorveglianza del carbonio.

Per esempio, una società che promuove il carbon farming, la Indigo Ag, “analizza quotidianamente mille miliardi di punti di dati provenienti da 120 grandi aziende agricole”, secondo Civil Eats, che aggiunge: “Alcuni temono che la società possa esercitare un controllo eccessivo sui dati, a scapito degli agricoltori”.

E poi c’è il fatto che i risultati sono tutt’altro che immediati. Secondo il Soil Health Institute (Istituto per la salute del terreno), l’aumento del carbonio nel suolo può richiedere dai tre ai cinque anni per essere rilevato, mentre gli agricoltori “dovranno anche assumersi la responsabilità e, potenzialmente, anche la responsabilità finanziaria per l’eventuale rilascio di carbonio” in caso di alterazione del suolo.

‘Il carbon farming sta diventando un grande business’

Secondo il Washington Post, il carbon farming “sta diventando un grande business in questa crisi climatica”, in quanto si stanno creando mercati “che consentono ai grandi inquinatori di cancellare parte delle loro emissioni acquistando crediti di carbonio”.

Secondo la Reuters, “i critici hanno definito alcuni programmi come un’operazione di greenwashing da parte di aziende inquinanti e hanno messo in dubbio la permanenza del carbonio catturato dalle colture intensive a filari.

L’Institute for Agriculture & Trade Policy (Istituto per le politiche agricole e commerciali) afferma che il carbon farming “fa parte di un’agenda aziendale in rapida crescita spinta dai grandi inquinatori”.

E la conferenza di Oxford sull’agricoltura reale definisce il carbon farming una “falsa soluzione per il clima“, affermando che darà all’agrobusiness una “falsa legittimità”, consentendogli di “espandere le proprie attività e di accedere a nuovi flussi di guadagni derivanti dai finanziamenti per il carbonio e dall’acquisizione di dati”, mentre le soluzioni “reali” come l’agroecologia rischiano di essere “cooptate”.

Ad esempio, nel 2017 Microsoft ha acquistato 600 tonnellate di crediti di compensazione del carbonio da coltivatori di riso in Arkansas, California e Mississippi, con il coinvolgimento del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) e dell’Environmental Defense Fund (Fondo per la difesa ambientale), tra gli altri.

Nel 2022, Truterra LLC, una consociata di Land O’Lakes, ha venduto 4 milioni di dollari in compensazioni di carbonio prodotte da pratiche come il carbon farming, ad acquirenti come Microsoft.

Secondo l’ MIT Technology Review, “Aziende come BP, General Mills, Kellogg’s, Microsoft e Shell hanno tutte annunciato dei piani o iniziative congiunte che indicheranno ai loro fornitori di adottare le tecniche o di pagare gli agricoltori che lo faranno per ottenere i cosiddetti crediti di compensazione”, consentendo loro di poter richiedere i crediti di carbonio senza ridurre le proprie emissioni.

Una lettera del 2021 inviata al Congresso degli Stati Uniti da più di 200 organizzazioni non governative che si oppongono al Growing Climate Solutions Act del 2021 ha messo in guardia i legislatori dal potenziale di greenwashing, sostenendo che “le centrali elettriche, le raffinerie e altri inquinatori potrebbero acquistare questi crediti di carbonio per compensare le loro emissioni, o addirittura aumentarle”.

La legge, che ha creato un programma di registrazione per i mercati dei crediti di carbonio presso l’USDA, è stata firmata dal Presidente Biden il 29 dicembre 2022.

Analogamente, l’anno scorso diversi gruppi di base, tra cui Corporate Accountability, il Center for International Environment Law e Friends of the Earth, hanno lanciato un appello congiunto contro un’analoga proposta dell’UE di certificare le compensazioni di carbonio provenienti dall’agricoltura. Sostengono che questo programma incoraggerà il “greenwashing” da parte delle aziende.

L’Institute for Agriculture & Trade Policy ha sostenuto che i mercati del carbonio per gli agricoltori sono iniqui, escludono la maggior parte degli agricoltori e provocano un aumento dell’inquinamento, a vantaggio dei giganti del settore agricolo (Big Agriculture) e alimentare (Big Food) e alimentando la concentrazione e il consolidamento delle aziende agricole.

Secondo GMWatch, “un programma promosso dal gigante mondiale delle sementi e dei pesticidi Bayer fornisce un buon esempio di come questo percorso radicato verso il “carbon farming” venga utilizzato per promuovere le agende delle multinazionali agroalimentari”.

Monsanto, che Bayer ha acquisito nel 2016, aveva precedentemente rilevato la Climate Corporation, un’azienda di agricoltura digitale. Questo ha permesso a Monsanto di sviluppare “una delle prime grandi piattaforme di agricoltura digitale, che ora si chiama Climate FieldView“.

FieldView “raccoglie i dati dai satelliti, dai sensori nei campi agricoli e dai sensori sui trattori e poi utilizza degli algoritmi per dare consigli agli agricoltori sulle loro pratiche agricole – quando e cosa piantare, quanti pesticidi spruzzare, quanto fertilizzante applicare, ecc.

Successivamente Bayer ha lanciato il suo Carbon Program negli Stati Uniti (noto come Carbon Initiative in Europa e Carbon+ in Brasile). Gli agricoltori partecipanti devono essere iscritti al FieldView, che stima la quantità di carbonio sequestrata dagli agricoltori.

Gli agricoltori vengono “pagati in base ai calcoli della Bayer”, mentre “la Bayer usa queste informazioni per richiedere crediti di carbonio e venderli sui mercati del carbonio”, secondo GMWatch.

Un altro programma della Bayer, ForGround, è aperto alle aziende e consente loro di richiedere riduzioni delle emissioni di carbonio nelle loro catene di approvvigionamento.

Purdue Agribusiness partecipa a ForGround. I fornitori di cereali per mangimi della Purdue saranno iscritti al programma, consentendo all’azienda di tenere traccia delle loro impronte di carbonio e di commercializzare il suo pollo come “sostenibile”, beneficiando al contempo di “informazioni approfondite sui suoi fornitori di mangimi… che potrà utilizzare per massimizzare i profitti”.

“Chi non si iscrive potrebbe trovarsi nell’impossibilità di vendere soia e mais alla Purdue, o potrebbe essere pagato meno dalla Purdue per i suoi raccolti”, aggiunge GMWatch.

Allo stesso modo, la Cargill ha lanciato il suo programma “RegenConnect” che, secondo Reuters, “utilizzerà campionamenti del suolo, dati delle aziende agricole e telerilevamento per stimare i benefici ambientali di pratiche come piantare colture di copertura o non lavorare la terra, pagando poi i coltivatori 20 dollari per ogni tonnellata di carbonio sequestrato”, raccogliendo al contempo i dati delle loro aziende.

Investitori come Bill Gates vedono grandi profitti

Diverse aziende stanno anche pubblicizzando i potenziali benefici del carbon farming – per gli investitori.

L’azienda olandese a scopo di lucro DGB Group, che si concentra “sull’eccellenza nello sviluppo e nella gestione di progetti sul carbonio” con progetti in diversi Paesi africani, afferma: “Il carbon farming offre agli investitori l’opportunità di investire nel futuro del nostro pianeta, con numerosi vantaggi per l’ambiente e per il vostro portafoglio di investimenti”.

Un’altra azienda, Indigo, che include il CEO di Moderna Stéphane Bancel nel suo consiglio di amministrazione, ha lanciato Carbon by Indigo, un mercato volontario del carbonio.

“L’aumento del sequestro di carbonio nel terreno e la riduzione delle emissioni di gas serra derivanti da queste pratiche possono… generare crediti di carbonio emessi dai registri, che sono sempre più richiesti dalle grandi aziende”, afferma Indigo. “L’aggiunta di colture di copertura, la riduzione della lavorazione del terreno e altre pratiche possono contribuire a migliorare il vostro terreno e i vostri profitti”.

Nel 2020, Indigo ha raccolto oltre 850 milioni di dollari e nel 2019 ha lanciato la Terraton Initiative, con l’obiettivo di sequestrare 1.000 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Secondo Civil Eats, Indigo ha anche stretto una partnership “con aziende di raccolta dei dati agricoli come il sistema basato sul cloud di John Deere e altre… per monitorare le pratiche agricole”.

Anche Gates è coinvolto nel carbon farming, come fondatore di Breakthrough Energy Ventures.

In un post del 2019 sul suo blog GatesNotes Gates ha promosso questa iniziativa, scrivendo: “L’obiettivo con l’agricoltura non è ridurre la quantità creata, ma ridurre le emissioni per prodotto. Sono coinvolto in un gruppo chiamato Breakthrough Energy Ventures che finanzia una serie di soluzioni creative per affrontare il problema”.

Ha detto che agire sull’elettricità e sulle emissioni delle mucche “non sarà sufficiente se non raggiungiamo emissioni nette pari a zero in ogni settore dell’economia entro 50 anni”, osservando che “c’è più carbonio nel suolo che nell’atmosfera e in tutte le forme di vita vegetale messe insieme”.

Breakthrough Energy elenca le emissioni agricole come una delle “cinque grandi sfide” del mondo, che richiede “cambiamenti significativi nel modo in cui pratichiamo l’agricoltura e mangiamo”. Le soluzioni suggerite includono il “miglioramento della gestione del terreno” e la “riduzione al minimo del consumo e dello spreco di alimenti con alte emissioni di carbonio” a favore di “carne e prodotti caseari a base vegetale”.

Altri promuovono la tecnologia blockchain come una soluzione che renderebbe il carboni farming più interessante dal punto di vista finanziario per gli agricoltori.

Una di queste aziende, la società di Seattle Nori, “propone di utilizzare una piattaforma basata su blockchain per creare un mercato in cui le aziende che desiderano compensare le proprie emissioni di carbonio possano pagare direttamente gli agricoltori per il carbonio sequestrato”. Gli agricoltori vengono pagati con gettoni Nori, un tipo di criptovaluta con “un valore che fluttua con la domanda del mercato”.

Secondo Civil Eats, la sorveglianza è la spina dorsale della piattaforma Nori: “Per misurare la quantità di carbonio che un agricoltore estrae, Nori si basa su una modellazione informata da una rete di 1.200 siti federali di campionamento e analisi del suolo”, utilizzando allo stesso tempo un sistema di contabilità del carbonio sviluppato presso la Colorado State University e finanziato dallo USDA.

Un’altra piattaforma basata su blockchain, la Regen Network, aggrega “diversi flussi di dati su un libro mastro basato su blockchain e poi [usa] [uses] queste informazioni per stimare la quantità di carbonio sequestrato dai proprietari dei terreni”.

Regen utilizza “sensori ottici e nel vicino infrarosso (NIR); sensori a microonde o radar; e immagini, rilevamento e misurazione della luce” – dati che possono essere condivisi con Nori.

‘Un ottimo modello di business per le multinazionali agrochimiche, ma ha risultati pessimi per tutti gli altri’.

Secondo GMWatch, le aziende come la Bayer sono i principali beneficiari del carbon farming, che garantisce loro “un controllo sempre maggiore sugli agricoltori, dettando esattamente come lavorare e quali fattori di produzione utilizzare”.

Ad esempio, la Bayer venderà i semi di una sua controllata, CoverCress, alle aziende che partecipano al programma ForGround. CoverCress ha sviluppato una coltura di copertura geneticamente modificata.

Robinson ha dichiarato a The Defender che aziende come la Bayer vendono agli agricoltori sementi geneticamente modificate “e i relativi prodotti agrochimici di proprietà, in un pacchetto che prevede restrizioni sulle modalità di utilizzo delle sementi – ad esempio, agli agricoltori non è consentito conservare liberamente le sementi e ripiantarle”. Ha poi aggiunto:

Una di queste pratiche è l’agricoltura “senza aratro” o “con poco aratro”. Troppo spesso questo termine viene utilizzato per indicare le colture geneticamente modificate resistenti agli erbicidi con glifosato o con erbicidi ancora più tossici, che dovrebbero uccidere le erbacce senza bisogno di arare… fino a quando le erbacce non diventano resistenti e devono essere applicati altri erbicidi in formulazioni sempre più tossiche.

“Questo è un ottimo modello di business per le aziende agrochimiche, ma con risultati pessimi per tutti gli altri”.

Invece della promozione del carbon farming, Robinson chiede una maggiore diffusione di modelli agricoli alternativi. Ha dichiarato a The Defender:

“Sappiamo già come gli agricoltori possono contribuire a sequestrare il carbonio attraverso sistemi agroecologici, biologici e genuinamente rigenerativi che apportano anche benefici sociali e ambientali.

“È necessario un approccio olistico che non si concentri solo sulle emissioni di carbonio, ma anche su altri elementi, come i benefici per la fauna selvatica, gli agricoltori, le comunità rurali, la prevenzione delle emissioni inquinanti e la fornitura di una diversità di colture alimentari attuate senza sostanze chimiche nocive”.