Una nuova ricerca danese a revisione paritaria, ha rilevato che le donne incinte esposte a sostanze tossiche per-e polifluoroalchiliche (PFAS), o “forever chemicals“, durante le prime fasi della gravidanza sono state associate a una minore concentrazione di spermatozoi, a un minor numero di spermatozoi totali e a una maggiore percentuale di spermatozoi non progressivi e immobili nei loro figli una volta raggiunta l’età adulta.

Lo ricerca effettuata su un vasto numero della popolazione, pubblicata il 5 ottobre su Environmental Health Perspectives, ha valutato le caratteristiche dello sperma e degli ormoni riproduttivi in 864 giovani uomini danesi nati da donne che hanno fornito campioni di plasma principalmente durante il primo trimestre di gravidanza tra il 1996 e il 2002.

I livelli di 15 PFAS sono stati misurati dai campioni materni e sette PFAS avevano livelli sufficientemente elevati da essere inclusi nello studio. La qualità dello sperma, il volume testicolare e i livelli di ormoni riproduttivi e di PFAS sono stati quindi valutati in giovani uomini del gruppo statistico di studio, Fetal Programming of Semen Quality istituito tra il 2017 e il 2019.

I ricercatori hanno scoperto che le madri con livelli più elevati di esposizione ai PFAS durante le prime fasi della gravidanza hanno generato figli adulti con una conta spermatica più bassa e livelli elevati di spermatozoi non vitali. La vitalità degli spermatozoi si riferisce alla loro capacità di nuotare in modo efficiente, necessaria per muoversi attraverso il tratto riproduttivo e raggiungere e fecondare l’ovulo della donna. Sia la riduzione del numero di spermatozoi sia gli sperma vivi immotili possono causare infertilità.

“In un campione di giovani uomini della popolazione generale danese, abbiamo osservato consistenti associazioni inverse tra l’esposizione ai PFAS materni e la qualità dello sperma”, scrivono i ricercatori. “La ricerca deve essere replicata in altre popolazioni, prendendo in considerazione sia l’esposizione combinata sia i PFAS emergenti a catena corta”.

Questa valutazione paritaria è la prima a esaminare l’esposizione ai PFAS durante il primo trimestre di gravidanza, cioè quando gli organi riproduttivi maschili sono nel periodo di sviluppo.

Secondo la coautrice della ricerca Sandra Søgaard Tøttenborg dell’ospedale universitario di Copenaghen, la capacità riproduttiva nei maschi è definita principalmente dallo sviluppo dei testicoli in utero durante il primo trimestre di gravidanza.

“È logico che l’esposizione a sostanze che imitano e interferiscono con gli ormoni coinvolti in questo delicato processo possa avere conseguenze sulla qualità dello sperma più avanti nella vita”, ha dichiarato Søgaard Tøttenborg a The Guardian.

I PFAS sono una classe di 12.000 sostanze chimiche prodotte e tipicamente utilizzate per rendere migliaia di prodotti resistenti all’acqua, alle macchie e al calore. I PFAS si trovano negli imballaggi per alimenti, nelle pentole antiaderenti, nei tessuti impermeabili, nelle vernici, nelle plastiche, nelle cere, nel filo interdentale, nei tappeti e in altro ancora.

I PFAS sono noti come “sostanze chimiche per sempre” perché non si decompongono, ma si accumulano nell’uomo, negli animali e nell’ambiente. Un numero crescente di dati collega le sostanze chimiche per sempre al cancro, ai difetti alla nascita, alle malattie epatiche e renali, alla scarsa immunità, all’alterazione del metabolismo e all’infertilità.

Secondo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC, Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie statunitensi) il 98% degli americani ha tracce di PFAS nel sangue, che possono attraversare la barriera placentare e accumularsi nel feto in crescita.

Una recente analisi della letteratura scientifica, comprendente 40 studi sul sangue del cordone ombelicale, ha rilevato la presenza di sostanze chimiche PFAS in tutti i 30.000 campioni degli ultimi cinque anni. Molti studi hanno collegato l’esposizione ai PFAS in utero a complicazioni per la salute dei nascituri, dei bambini e degli adulti in età avanzata.

Alcuni studi hanno messo in relazione l’esposizione ai PFAS rivelata tramite il sangue del cordone ombelicale con alterazioni della tiroide e delle cellule microbiche del colon.

I risultati sono preoccupanti perché i feti sono “più vulnerabili a queste esposizioni perché i loro corpi in via di sviluppo non hanno i meccanismi per gestire le sostanze chimiche”, ha dichiarato Uloma Uche, ricercatrice scientifica di sanità ambientale presso l’Environmental Working Group.

“La presenza di queste sostanze chimiche è una minaccia anche per le donne in gravidanza, che rappresentano il primo contatto con i PFAS prima che possano passare dall’utero al feto in via di sviluppo attraverso il cordone ombelicale”, ha dichiarato Uche. “Anche prima di venire al mondo, si è già esposti ai PFAS”.