Secondo uno studio pubblicato su Frontiers in Immunology, i bambini australiani che hanno ricevuto il vaccino anti COVID-19 BNT162b2 della Pfizer hanno registrato un calo significativo dei livelli di proteine immunitarie, o citochine.

Ciò significa che questi bambini hanno sviluppato un’immunodeficienza acquisita da vaccino, o VAIDS, dopo aver ricevuto le iniezioni, come ipotizzato da alcuni rapporti?

Non necessariamente.

Decine di citochine partecipano all’immunità e molte promuovono infiammazioni malsane o pericolose. Per quanto ne sappiamo, il pannello di 27 citochine utilizzato dai ricercatori per misurare la funzione immunitaria non è stato convalidato per diagnosticare né l’immunodeficienza né l’infiammazione. Fornisce suggerimenti o indizi, ma non è una conferma.

Le citochine sono “buone” quando stimolano l’immunità per combattere le infezioni o attaccare i tumori. Ma le stesse citochine sono “cattive” quando promuovono l’infiammazione, ad esempio nell’artrite reumatoide o nel morbo di Crohn.

Quindi, i bambini vaccinati che subiscono un calo dei livelli delle 27 citochine misurate dai ricercatori potrebbero essere meno in grado di combattere un’infezione, ma non lo sappiamo con certezza.

I ricercatori avrebbero potuto saperne di più includendo nel loro studio anche bambini non vaccinati, oppure avrebbero potuto risolvere definitivamente la questione monitorando i bambini a lungo termine per verificare l’eventuale presenza di infezioni, cosa che non hanno fatto.

Tuttavia, lo studio aggiunge benzina alla controversia in corso sulle vaccinazioni anti COVID-19 nei bambini, anche se forse non nel modo in cui gli investigatori intendevano.

I ricercatori volevano determinare se i bambini che hanno ricevuto il vaccino anti COVID-19 Pfizer fossero più protetti contro altre infezioni oltre a quella da COVID-19.

Ma la scoperta che le risposte delle citochine associate alla lotta contro le infezioni non-COVID-19 sono diminuite, suggerisce il contrario.

Guidati dall’autore corrispondente Andrés Noé del Murdoch Children’s Research Institute di Parkville, Victoria, Australia, i ricercatori hanno cercato prove che il vaccino Pfizer somministrato ai bambini piccoli potesse prevenire non solo la COVID-19 ma anche altre malattie infettive.

Questo fenomeno, noto come effetto eterologo o “fuori bersaglio“, era stato segnalato in precedenza per la vaccinazione antivaiolosa ed è tuttora oggetto di discussioni per il vaccino anti bacillo di Calmette-Guérin, un vaccino contro la tubercolosi.

In entrambi i casi, i soggetti vaccinati hanno registrato meno ricoveri per altre infezioni non previste dal vaccino.

Noé e collaboratori non hanno utilizzato l’ospedalizzazione come endpoint, ma hanno misurato i livelli di citochine, proteine che fungono da segnali chimici del sistema immunitario.

Secondo gli autori, il loro studio è stato il primo a esaminare questo effetto specifico nei bambini.

Come è stata condotta la ricerca

I ricercatori hanno inizialmente arruolato 51 bambini, di età compresa tra i 5 e gli 11 anni (età mediana 6,4 anni), tra il 20 gennaio e il 1° febbraio 2022. Dei 47 soggetti ritenuti idonei per lo studio, sono stati esclusi 18 bambini precedentemente infettati dalla COVID-19, lasciando così 29 soggetti.

Per confrontare i livelli di citochine dei non vaccinati con quelli dei vaccinati, i ricercatori hanno prelevato campioni di sangue subito prima della prima iniezione di BNT162b2 e 28 giorni dopo la seconda dose.

Altri otto campioni sono stati raccolti a sei mesi dal trattamento.

I ricercatori hanno scelto di non includere un gruppo di controllo non vaccinato, utilizzando invece campioni prelevati prima della vaccinazione come controlli del test. La decisione è stata presa perché, secondo loro, includere un gruppo di controllo non vaccinato non era etico.

Hanno utilizzato un saggio di stimolazione del sangue intero per misurare le risposte citochiniche a stimolanti legati a patogeni COVID-19 e non. Questo test prevede l’aggiunta di una “sfida” a campioni di sangue che simulano l’esposizione reale a un microbo infettivo.

Poiché le citochine sono presenti in bassa abbondanza e vengono rapidamente degradate nel sangue, i test sono stati eseguiti entro due ore dal prelievo.

I ricercatori hanno trattato o “sfidato” i campioni di sangue con 13 agenti patogeni, tra cui tre preparati legati alla COVID-19 e 10 altri batteri e virus che causano malattie e che sono uccisi dal calore. Tra le sfide non COVID-19 vi erano il virus dell’influenza, i batteri dello stafilococco e altri microbi infettivi comuni.

Le sfide sono state raggruppate in base a batteri, virus o COVID-19.

I ricercatori hanno cercato 27 citochine appartenenti a uno dei tre gruppi: infiammatorie, adattative o miste e chemochine.

Le citochine infiammatorie promuovono sia l’infiammazione benefica che quella che causa le malattie. Le citochine adattative aiutano a combattere le infezioni. Le chemochine reclutano i globuli bianchi che combattono le malattie per attaccare e rimuovere i microbi infettivi.

Il terreno di coltura cellulare normale e il terreno di cellule non infette sono serviti come controlli del saggio.

Cosa hanno scoperto i ricercatori

I livelli di citochine sono generalmente diminuiti a 28 giorni dalla seconda iniezione, ma i risultati sono stati contrastanti.

Le diminuzioni maggiori, nelle citochine che combattono i batteri e i virus non-COVID-19, erano evidenti a 28 giorni per tutte le sfide patogene.

Le diminuzioni persistevano a sei mesi dalla vaccinazione per le sfide virali ma non per quelle batteriche.

Gli unici aumenti dei livelli di citochine osservati erano causati da sfide legate alla COVID-19.

I ricercatori non hanno trovato alcuna correlazione tra questi effetti e i livelli di anticorpi anti-COVID-19, il che significa che gli effetti delle citochine osservati derivavano da una stimolazione immunitaria generalizzata e non da una risposta alla proteina spike, l’antigene principale dei vaccini.

Noé ha concluso che l’iniezione di BNT162b2 nei bambini “altera la risposta delle citochine” a stimolanti diversi dal virus della COVID-19 o dalla proteina spike, in particolare un mese dopo la vaccinazione.

In sintesi, le risposte positive alle citochine 28 giorni dopo l’iniezione di BNT162b2 erano limitate a quelle tipicamente attese dopo una vaccinazione – all’antigene o agli antigeni contro cui BNT162b2 è stato progettato.

Allo stesso tempo, sono diminuiti i livelli di quasi tutte le citochine normalmente impiegate dal sistema immunitario per combattere gli invasori batterici e virali.

Problemi dello studio

Il difetto più evidente del rapporto di Noé è l’assenza di un gruppo di controllo non vaccinato.

Secondo gli autori, l’inclusione di bambini non vaccinati era “non etica” perché l’Australian Technical Advisory Group on Immunisation, che consiglia il governo australiano sulla politica di vaccinazione, aveva stabilito la “vaccinazione” anti COVID-19 come standard di cura.

Ma gli autori non erano in conflitto etico con l’iniettare ai loro soggetti prodotti che non erano ancora stati approvati e nemmeno testati sui bambini o che, secondo la loro stessa ipotesi di studio, avrebbero potuto influenzare negativamente la capacità dei soggetti di combattere infezioni diverse da quella da COVID-19.

Pfizer ha iniziato a testare il suo prodotto BNT162b2 nei bambini piccoli il 25 marzo 2021, ma il prodotto non è stato approvato in Australia per quella fascia demografica fino al 29 settembre 2022 – più di sei mesi dopo che Noé e i suoi collaboratori hanno iniziato a iniettare il farmaco nei soggetti.

BNT162b2 è stato approvato negli Stati Uniti per questa fascia di età nel dicembre 2022.

Inoltre, nella sezione “discussione” dell’articolo di Noé è assente qualsiasi spiegazione del significato clinico dello studio.

Nel loro abstract, gli autori dicono innanzitutto che i vaccini “possono avere effetti benefici fuori bersaglio (eterologhi) che alterano le risposte immunitarie alle infezioni non correlate e proteggono da esse”.

In seguito scrivono che la vaccinazione con BNT162b2 influisce sulla “risposta delle citochine agli stimolanti eterologhi”.

Ma da nessuna parte si tenta di conciliare le due affermazioni, di spiegare il significato clinico di queste “alterazioni”, o anche se l’aumento delle citochine alle sfide COVID-19 rifletta l’immunità da COVID-19.

Un’altra strategia discutibile è stata quella di escludere i bambini con un’immunità naturale alla COVID-19 dovuta all’esposizione al virus. Questi potenziali soggetti erano già stati reclutati e sottoposti a prelievo di sangue per verificare l’esposizione alla COVID-19.

Poiché gli esami del sangue sono stati eseguiti su un analizzatore automatico, la loro inclusione avrebbe potuto fornire ulteriori informazioni senza comportare un significativo lavoro aggiuntivo.

Avrebbe permesso, ad esempio, di confrontare i livelli di citochine nei bambini esposti e non esposti al vaccino anti COVID-19, ed eventualmente tra i bambini con immunità naturale e quelli con immunità indotta da BNT162b2.

Infine, a differenza dello studio sul vaiolo citato in precedenza, che si basava sulla diagnosi e sull’ospedalizzazione come endpoint, Noé ha utilizzato surrogati o biomarcatori dell’immunità – i livelli ematici delle citochine.

I biomarcatori sono comunemente utilizzati nella ricerca biomedica, ad esempio il colesterolo per le malattie cardiache o la proteina C-reattiva per le infiammazioni. Ma non hanno lo stesso peso di endpoint “duri” come i risultati delle biopsie, le malattie sintomatiche o la morte.

Sebbene Noé non abbia fatto alcuna affermazione, positiva o negativa, sul significato clinico dei suoi risultati, la sua ipotesi implica chiaramente che il rischio di COVID-19 è inversamente correlato ai livelli di citochine legate alla COVID-19: più alti sono i livelli, minore è il rischio.

Se i risultati di Noé suggeriscono un rischio minore per la COVID-19 in virtù di una risposta citochinica forte e persistente, con la stessa logica dimostrano che il vaccino BNT162b2 della Pfizer fa l’esatto contrario per altre infezioni pericolose.

Ma Noé è stato attento a non fare affermazioni esplicite su nessuno dei due punti, concludendo semplicemente che “la vaccinazione con BNT162b2 nei bambini altera la risposta delle citochine agli stimolanti eterologhi”.

In difesa della sua ipotesi originale – che BNT162b2 conferirebbe immunità agli agenti patogeni non-COVID-19 – non tutte le attività delle citochine sono benefiche o prevedibili nei loro effetti.

Le citochine specifiche i cui livelli si sono abbassati in risposta alle sfide virali e batteriche averbbero potuto, in condizioni di effettiva infezione con agenti patogeni vivi, lavorare insieme per causare infiammazioni dannose o addirittura pericolose.

L’immunità è un fenomeno complesso che coinvolge interazioni tra decine o centinaia di attori molecolari. In assenza di una relazione stretta, rigorosamente validata e chiaramente definita tra i biomarcatori e la malattia vera e propria – e non con il “rischio” o i “fattori di rischio” – trarre conclusioni dagli studi sui biomarcatori è di per sé rischioso.

Se tutti i livelli di citochine fossero aumentati insieme a quelli coinvolti nella lotta alla COVID-19, la conclusione di Noé sarebbe stata diversa.

Ma anche queste affermazioni sarebbero soggette a convalida attraverso un ampio studio che preveda un gruppo di controllo non vaccinato e un lungo follow-up per verificare se i bambini vaccinati hanno avuto meno infezioni o meno infezioni che hanno richiesto l’ospedalizzazione rispetto ai controlli.