Secondo l’ultimo Rapporto sui rischi globali del World Economic Forum (WEF), la “disinformazione” [espressa in inglese con due termini, misinformation e disinformation, NdT] derivata dall’intelligenza artificiale (AI, acronimo di artificial intelligence), e non i conflitti o la povertà, sono i principali rischi che il mondo dovrà affrontare nei prossimi due anni.

Il WEF ha pubblicato il rapporto il 10 gennaio, poco prima del suo incontro annuale a Davos, in Svizzera.

I leader politici ed economici hanno ribadito queste preoccupazioni nel corso dell’evento. Tra i 2.800 partecipanti di quest’anno, provenienti da 120 Paesi, figurano più di 60 capi di Stato e 1.600 dirigenti d’azienda, definiti dal fondatore e presidente del WEF Klaus Schwabfiduciari del futuro“.

Secondo il Rapporto sui rischi globali, nei prossimi due anni “attori stranieri e nazionali faranno leva sulla disinformazione per aumentare le divisioni sociali e politiche”, mettendo a rischio le elezioni in Paesi come gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’India.

La “disinformazione” è indicata nel rapporto come la quinta maggiore minaccia per i prossimi 10 anni.

“L’intelligenza artificiale può costruire modelli per influenzare grandi popolazioni di elettori in un modo che non abbiamo mai visto prima”, ha dichiarato Carolina Klint in un’intervista alla CNBC. Klint è la responsabile commerciale per l’Europa della società di consulenza Marsh McLennan, che ha co-prodotto il rapporto.

In particolare, “L’intelligenza artificiale come forza trainante per l’economia e la società” è uno dei “4 temi chiave” di quest’anno del WEF. Il tema centrale è “Ricostruire la fiducia“.

“Il rapporto suggerisce che la diffusione della disinformazione in tutto il mondo potrebbe portare a disordini civili, ma anche a censure imposte dai governi, propaganda interna e controlli sul libero flusso delle informazioni”, ha dichiarato il WEF.

Gli altri 10 rischi principali per i prossimi due anni includono “eventi meteorologici estremi”, “polarizzazione della società”, “insicurezza informatica”, “conflitti armati interstatali”, “mancanza di opportunità economiche”, “inflazione”, “migrazione involontaria”, “recessione economica” e “inquinamento”.

WEF: La “disinformazione” può portare a un “processo decisionale erratico”

Un articolo dell’Agenda del WEF pubblicato sulla rivista Time e scritto da Saadia Zahidi, direttrice generale del WEF, ha riassunto il Rapporto sui rischi globali di quest’anno, sottolineando che è “basato sulle opinioni di quasi 1.500 esperti di rischi globali, responsabili politici e leader dell’industria”.

Il mondo si trova ad affrontare “alcune delle condizioni economiche e geopolitiche più difficili degli ultimi decenni. E da qui in poi le cose possono solo peggiorare”, ha scritto Zahidi.

Ha spiegato perché le “false informazioni” rappresentano la minaccia maggiore nei prossimi due anni, scrivendo:

“La minaccia rappresentata dalla disinformazione occupa il primo posto, in parte a causa del grado di proliferazione dell’accesso aperto a tecnologie sempre più sofisticate, che può compromettere la fiducia nelle informazioni e nelle istituzioni.

“Il boom dei contenuti sintetici che abbiamo visto nel 2023 continuerà, e un’ampia serie di attori probabilmente capitalizzerà questa tendenza, con il potenziale di amplificare le divisioni sociali, incitare alla violenza ideologica e consentire la repressione politica”.

Secondo Zahidi, con alcuni dei maggiori Paesi del mondo che quest’anno tengono le elezioni, c’è il rischio che la disinformazione “possa destabilizzare la legittimità reale e percepita dei governi appena eletti”, mentre le “campagne di manipolazione” potrebbero “minare i processi democratici in generale”.

Inoltre le informazioni false e la polarizzazione sociale sono intrinsecamente intrecciate e hanno il potenziale di amplificarsi a vicenda”, ha scritto.

“Le società polarizzate possono diventare polarizzate non solo nelle loro affiliazioni politiche, ma anche nelle loro percezioni della realtà”, ha aggiunto Zahidi, sostenendo che ciò potrebbe portare a “continue lotte, incertezze e processi decisionali erratici”.

Per Zahidi, la soluzione ai “rischi a breve e a lungo termine” richiede “innovazione e un processo decisionale affidabile”, che secondo lei “è possibile solo in un mondo allineato sui fatti”.

Zahidi ha fatto affermazioni simili durante un’intervista alla CNBC-TV18 indiana dell’11 gennaio.

Zahidi ha affermato che la “disinformazione” è “molto difficile da controllare, soprattutto senza sistemi di tracciamento, sistemi di watermarking e soprattutto se il pubblico non è ben istruito sui rischi dei contenuti sintetici e soprattutto quando si tratta di fake news”.

“Abbiamo bisogno di soluzioni da costruire tra coalizioni di persone di buona volontà, ed è su questo che lavoreremo a Davos”, ha detto Zahidi.

Musk: “Disinformazione” è “qualunque cosa sia in conflitto” con l’agenda del WEF

Le affermazioni del WEF hanno suscitato alcune reazioni accese, tra cui quella di Elon Musk, presidente e chief technology officer di X (precedentemente noto come Twitter) che, in un post dell’11 gennaio, rispondendo al Global Risks Report del WEF, ha scritto:

In un post su Substack, Steve Kirsch, fondatore della Vaccine Safety Research Foundation (Fondazione per la ricerca sulla sicurezza dei vaccini), ha scritto che “i governi mondiali possono fermare la disinformazione” se “smettono di mentire alla gente”, “smettono di censurare”, ammettono gli errori e permettono “a tutti i professionisti, in tutti i campi… di parlare liberamente al pubblico senza paura di essere puniti”.

Ma queste opinioni non sembrano essere condivise dalla grande maggioranza dei partecipanti alla riunione del WEF.

Martedì, parlando con Euronews, Věra Jourová, vicepresidente della Commissione europea per i valori e la trasparenza, ha minacciato sanzioni per Musk se X non si conformerà alla “Legge sui servizi digitali” recentemente introdotta dall’Unione europea, che regolamenta la cosiddetta “disinformazione” sulle piattaforme di social media.

“Dopo che il signor Musk ha preso il controllo di Twitter con il suo assolutismo sulla libertà di parola, anche noi siamo i protettori della libertà di parola”, ha detto Jourová. “Ma allo stesso tempo non possiamo accettare, ad esempio, i contenuti illegali online e così via”.

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha dichiarato martedì ai partecipanti al WEF che “la disinformazione” è un rischio serio “perché limita la nostra capacità di affrontare le grandi sfide globali che abbiamo di fronte”. E questo rende il tema dell’incontro di Davos di quest’anno ancora più rilevante: ricostruire la fiducia”.

Secondo von der Leyen, che non è stata eletta tramite elezioni popolari, “Naturalmente, come in tutte le democrazie, la nostra libertà comporta dei rischi. Ci sarà sempre chi cercherà di sfruttare la nostra apertura, sia dall’interno che dall’esterno. Ci saranno sempre tentativi di metterci fuori strada. Per esempio, tramite la disinformazione”.

Per la von der Leyen, sono necessarie “risposte immediate e strutturali” “all’altezza delle sfide globali”, che prevedano collaborazioni tra governi e imprese – facendo riferimento ai partenariati pubblico-privato, un concetto promosso dal WEF.

“Le imprese hanno l’innovazione, la tecnologia e i talenti per fornire le soluzioni di cui abbiamo bisogno per combattere minacce come il cambiamento climatico o la disinformazione su scala industriale”, ha dichiarato.

Ha anche fatto riferimento alla Legge sui servizi digitali, sostenendo che ha “definito la responsabilità delle grandi piattaforme Internet sui contenuti da esse promossi e diffusi. Una responsabilità nei confronti dei bambini e dei gruppi vulnerabili presi di mira dai discorsi d’odio, ma anche una responsabilità nei confronti delle nostre società nel loro complesso”.

Secondo la von der Leyen, poiché il confine tra online e offline “si sta assottigliando sempre di più… i valori che ci stanno a cuore offline devono essere protetti anche online”.

I governi dovrebbero “costringere” le società di social media a “fare meglio”

Anche Julie Inman Grant, ex dipendente di Twitter e ora commissario per la “eSafety” in Australia, ha attaccato Musk e ha chiesto una maggiore regolamentazione dei social media.

Intervenendo alla sessione di mercoledì – “Proteggere i vulnerabili online” – la Grant ha detto che le agenzie come la sua “servono come rete di sicurezza” dove i vulnerabili possono “farci delle segnalazioni”.

Secondo la Grant, tali segnalazioni faranno scattare un’indagine e la “collaborazione con le piattaforme” “garantirà azioni rapide”.

Ha aggiunto:

“Siamo anche molto attenti alla trasparenza e abbiamo usato i nostri poteri di trasparenza per scoprire cosa stia succedendo davvero sotto sotto.

“Abbiamo appena emesso [delle sanzioni] [sanctions] contro X Corp. in merito all’odio online, dove siamo riusciti a farci un’idea della misura in cui hanno tagliato i loro ingegneri della sicurezza dell’80%, i loro moderatori di contenuti del 30%, i loro addetti alle politiche pubbliche del 70% e poi hanno abilitato gli utenti precedentemente sospesi”.

Lodando i tentativi di vari Paesi di regolamentare le piattaforme di social media, Grant ha suggerito che i governi dovrebbero “costringere” le società di social media a controllare il discorso sulle loro piattaforme.

“Noi governi dobbiamo lavorare insieme per contrastare la ricchezza, la furtività e, francamente, il potere di tutte queste aziende tecnologiche, e dobbiamo lavorare insieme per costringerle a fare meglio”, ha detto.

In occasione della riunione del WEF del 2022 a Davos, Grant ha affermato che è necessaria una “ricalibrazione” della libertà di parola.

Durante il meeting del WEF di quest’anno, ha criticato un’ingiunzione emessa negli Stati Uniti nell’ambito della causa Missouri et al. contro Biden et al. che impedisce ai funzionari della Casa Bianca e del governo di parlare con le società di social media per censurare i contenuti sulle loro piattaforme.

Ha detto:

“Attualmente è in vigore un’ingiunzione che impedisce all’amministrazione Biden di comunicare con le piattaforme di social media in merito alle minacce di interferenza sui temi delle elezioni che quest’anno saranno sottoposte alla Corte Suprema degli Stati Uniti.

“Ci troviamo quindi in un ambiente bizzarro in cui, proprio mentre le minacce aumentano, gli investimenti per svolgere effettivamente il lavoro quotidiano di fiducia e sicurezza online per il nostro ambiente informativo vengono ridimensionati e sono sotto attacco”.

Il governo australiano sta attualmente valutando la possibilità di emanare nuovi poteri per “combattere la disinformazione”, definiti in senso lato come “legge sulla disinformazione“.

Nello stesso panel, Maurice Lévy, presidente del consiglio di sorveglianza di Publicis Groupe, una delle più grandi aziende di marketing e relazioni pubbliche del mondo, ha riconosciuto le collaborazioni nate dagli incontri del WEF degli anni precedenti per una maggiore moderazione e rimozione della “disinformazione” sulle piattaforme dei social media.

Ha detto:

“Circa otto, nove anni fa, abbiamo deciso – le cinque principali agenzie globali con circa 30 inserzionisti – in un incontro qui a Davos [to] [di] chiedere a Facebook … YouTube, Google di partecipare, e ci sono state alcune regole che sono state fatte con estrema forza dagli inserzionisti e dalle agenzie. Non vogliamo che i nostri annunci siano accostati alla violenza, al terrore, ecc.

“Abbiamo implementato regole così forti… che YouTube è stato costretto a creare una moderazione, cosa che non aveva fatto prima, e a ripulire i contenuti“.

Tra i clienti di Publicis Groupe figurano aziende Big Pharma come GlaxoSmithKline, Pfizer Consumer Healthcare, Merck, AstraZeneca, Johnson & Johnson e Purdue Pharmaceuticals, produttrice dell’Oxycontin, e aziende Big Tech come Google, Amazon e Microsoft.

Publicis Groupe collabora inoltre con la società di “fact-checking” NewsGuard e con il Center for Countering Digital Hate (Centro per il contrasto all’odio digitale), autori della lista “”Disinformation Dozen” (La dozzina della disinformazione) che è stata utilizzata per fare pressione sulle piattaforme di social media affinché censurassero i contenuti veritieri postati da personaggi come Robert F. Kennedy Jr, presidente in congedo di Children’s Health Defense, durante la pandemia di COVID-19.

“Li porti in posti come Davos”

Alexandra Reeve Givens, presidente e amministratore delegato del Center for Democracy & Technology (CDT, Centro per la democrazia e la tecnologia), durante una sessione di mercoledì ha suggerito di portare a Davos i dirigenti delle società di social media per discutere degli “interventi” per combattere la “disinformazione”.

Rispondendo alla domanda di Ravi Agrawal, caporedattore di Foreign Policy, se esista un modo per “costringere” o “spingere” le società di social media a sorvegliare la “disinformazione”, Givens ha detto: “Li porti in posti come Davos”.

Ha aggiunto:

“Ci sono lezioni importanti che abbiamo imparato dopo il 2016, [that] le aziende che operano nel settore dei social media hanno imparato a tracciare le campagne di disinformazione, a capire come si presenta un’attività non autentica coordinata su un network, a inserire delle pause, a far sì che le persone verifichino se hai letto o meno l’articolo prima di inoltrarlo ai programmi di fact-checking .

“Questo schema non ha funzionato come una bacchetta magica, è vero, ma almeno è stato messo in piedi e ora c’è un intero settore accademico che studia questo aspetto e analizza come potrebbero essere gli interventi. Dobbiamo assicurarci che questi interventi siano ancora in atto quest’anno come sistema minimo indispensabile per poter navigare in questo panorama”.

Julie Brill, vicepresidente aziendale e vice consigliera generale di Microsoft, è membro del consiglio di amministrazione del CDT. Il consiglio consultivo del CDT include figure di Meta – la società madre di Facebook, Amazon e dello Stanford Cyber Policy Center, che ha ospitato il Virality Project che, secondo i “Twitter Files“, ha svolto un ruolo chiave nella censura dei social media durante la pandemia di COVID-19.

Durante la tavola rotonda del WEF, tenutasi lunedì e intitolata “Open Forum: Liberare la scienza“, il Dr. Carlos Afonso Nobre, ricercatore senior presso l’Istituto di Studi Avanzati dell’Università di San Paolo, ha affermato che per lui, in quanto scienziato del clima, è difficile “capire la disinformazione”.

Riferendosi al suo Paese d’origine, il Brasile, Nobre ha detto: “Molte persone non si sono vaccinate” – riferendosi ai vaccini anti COVID-19. Ha attribuito la colpa a una “erosione della fiducia” nella scienza, che secondo lui è alimentata dalla “disinformazione”.

Nobre ha detto che è importante capire come non comunicare gli argomenti scientifici e comprendere “perché alcune persone ancora non credono” in queste narrazioni.

Al di fuori dei confini del WEF, i partecipanti sono stati meno disponibili ad esprimere le loro opinioni.

Il giornalista di Rebel News Avi Yemini ha affrontato i dirigenti di Meta Alex Schultz, chief marketing officer e vice presidente di analytics, e Javier Olivan, chief operating officer di Facebook, per le strade di Davos, facendo loro domande sul “fact-checking”, sulla “trasparenza” e sugli sforzi dell’azienda per colpire la “disinformazione”.

I due dirigenti hanno evitato le domande, dicendo a Yemini che “non parlano” con lui.