La Corte Suprema degli Stati Uniti ha ascoltato oggi le argomentazioni in un caso che potrebbe determinare se il governo degli Stati Uniti può legalmente fare pressione sulle aziende tecnologiche affinché rimuovano dei contenuti dalle piattaforme di social media senza violare il Primo Emendamento.

Le argomentazioni riguardavano una causa depositata nel maggio 2022 dai procuratori generali della Louisiana e del Missouri, insieme a diversi utenti dei social media, in cui si sostiene che il presidente Joe Biden e altri alti funzionari dell’amministrazione abbiano esercitato “pressioni e collusioni” con le aziende di social media per censurare e sopprimere le informazioni, compresi i post che contraddicevano la narrazione ufficiale del governo sulle origini, i vaccini e i trattamenti della COVID-19.

La questione che si pone alla corte è quella di confermare o meno una ingiunzione preliminare – emessa il 4 luglio 2023, da un giudice federale e ampiamente confermata in appello – che impedisce a diverse agenzie federali e ai funzionari dell’amministrazione Biden di costringere, “incoraggiare in modo significativo” o intraprendere azioni congiunte in merito alla moderazione dei contenuti da parte delle società di social media fino a quando non sarà decisa la causa.

Commentando le argomentazioni odierne ai sostenitori della libertà di parola riuniti oggi fuori dal tribunale, Mary Holland, presidente di Children’s Health Defense (CHD), ha dichiarato: “Penso che ci sia stato un accordo sul fatto che… è assolutamente una violazione del Primo Emendamento che il governo costringa chiunque a censurare la libera espressione”.

Tuttavia, secondo Holland, che si trovava all’interno del tribunale durante le discussioni in qualità di avvocato, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti sostiene che non c’è stata alcuna coercizione.

“A mio parere, questo è assolutamente assurdo”, ha detto. “Il governo, nel corso di molti mesi, con telefonate ed e-mail incredibilmente coerenti, ha detto alle piattaforme di togliere certi post. Quindi, a mio avviso, non c’è dubbio che si sia trattato di coercizione”.

CHD e il suo fondatore e presidente in congedo Robert F. Kennedy Jr. nel marzo 2023 hanno intentato una causa collettiva per conto di tutti i consumatori americani di notizie contro l’amministrazione Biden, avanzando accuse simili a quelle mosse nel caso Murthy contro Missouri (già Missouri contro Biden). Nel luglio 2023 un giudice federale ha riunito le due cause.

I querelanti nella causa Kennedy et al. contro Biden et al. hanno anche richiesto e ottenuto dallo stesso giudice, Terry Doughty, un’ingiunzione preliminare che proibisce ai funzionari e alle agenzie chiave dell’amministrazione Biden di costringere, incoraggiare in modo significativo o intraprendere azioni congiunte con le piattaforme di social media per sopprimere o censurare i contenuti online.

Tuttavia, il giudice Doughty ha contemporaneamente emesso una sospensione dell’ingiunzione fino a 10 giorni dopo che la Corte Suprema si sarà pronunciata sul caso odierno, cosa che si prevede avverrà a metà estate.

L’esito dei due casi potrebbe avere implicazioni di ampia portata per il Primo Emendamento e per il discorso online. Il New York Times ha definito Murthy contro Missouri uno dei “più importanti casi sul Primo Emendamento” dell’era di Internet.

I querelanti sostengono che la censura è ancora in corso

Le argomentazioni odierne nella causa Murthy contro Missouri si sono concentrate sulla possibilità per i querelanti di dimostrare di essere stati direttamente danneggiati dalla presunta censura e sulla possibilità di ricondurre tale censura dei loro post sui social media a particolari attori governativi.

Gli avvocati hanno anche discusso se i querelanti potessero dimostrare che l’amministrazione Biden stesse costringendo le società di social media a censurare i discorsi sgraditi, piuttosto che limitarsi a convincerle a farlo.

Il vice procuratore generale degli Stati Uniti Brian Fletcher ha detto alla corte che i querelanti non hanno il diritto di fare causa – chiamato standing – perché non hanno dimostrato di essere di fronte alla minaccia imminente che il governo influenzi i social media per moderare i loro post in particolare.

L’avvocato dei querelanti, l’Avvocato Generale della Louisiana J. Benjamin Aguiñaga, ha sottolineato che la querelante Jill Hines è stata censurata ancora nell’aprile 2023, quando Facebook l’ha avvertita che un’immagine da lei postata di un tweet di Kennedy violava gli standard della comunità.

Kennedy è stato citato più volte nel corso dell’udienza come il principale esempio di persona censurata per aver espresso un punto di vista sgradito riguardo alla COVID-19.

Fletcher ha anche sostenuto che le comunicazioni della Casa Bianca con i social media non hanno raggiunto il livello di coercizione. Ha sostenuto invece che stavano semplicemente usando la persuasione.

Ha inoltre sostenuto che l’ingiunzione è “estremamente vaga” e “eccessivamente ampia”, perché si estende a molte parti dell’amministrazione e del governo federale e ha suggerito che, se confermata, intaccherebbe la capacità dell’amministrazione di usare il “bully pulpit” (“pulpito per dare ordini”) per esortare le persone ad agire in determinati modi.

Aguiñaga ha sostenuto al contrario che il governo ha esercitato “pressioni incessanti” per “costringere le piattaforme di social media a sopprimere la parola di milioni di americani”.

Diversi giudici hanno affermato che non è raro che gli attori governativi esprimano ai media la loro opinione su ciò che viene stampato. Il giudice Sonia Sotomayor ha dichiarato: “Voglio dire che questo accade letteralmente migliaia di volte al giorno nel governo federale”.

Altri, come il giudice Brett Kavanaugh, hanno chiestiose se non sia significativo che le società di social media a volte hanno rifiutato le richieste del governo.

Aguiñaga ha sostenuto che questo caso è diverso dalle comunicazioni tipiche perché la coercizione del governo ha fatto sì che le piattaforme di social media “cedessero regolarmente” alle richieste del governo.

Il giudice Samuel Alito ha sostenuto la tesi di una relazione speciale tra le società di social media e il governo, che segnala un’indebita influenza governativa. Ha affermato che nelle e-mail la Casa Bianca e i funzionari federali affermano ripetutamente che le società di social media dovrebbero essere i loro “partner” e “quando non sono soddisfatti, li trattano male”.

Ha detto che ci sono riunioni regolari e “costanti sollecitazioni” alle piattaforme, insieme a suggerimenti per la definizione delle regole. “Non riesco a immaginare i funzionari federali che usano quasto approccio verso la stampa”.

Aguiñaga ha sostenuto che il governo è libero di usare il “bully pulpit”, per suggerire alle piattaforme di amplificare il suo messaggio.

“Ma il governo non ha il diritto di persuadere le piattaforme a violare i diritti costituzionali degli americani, e fare pressioni sulle piattaforme in stanze chiuse al riparo dalla vista del pubblico non significa affatto usare il bully pulpit”, ha affermato. “Questo è solo fare del bullismo”.

Ha anche sottolineato che quando il governo usa il bully pulpit, o anche quando si rivolge alla stampa, si tratta di una conversazione diretta tra le due parti. In questo caso, ha detto, “ciò che è così pernicioso” è che le persone censurate, come i querelanti Hines e Jim Hoft, “non hanno idea di ciò che sta accadendo dietro le quinte”.

L’argomentazione di Aguiñaga si basava sulla decisione della Corte nella causa Norwood et al. contro Harrison et al., secondo cui il governo non può indurre, incoraggiare e promuovere attori privati a fare indirettamente ciò che il governo stesso non può fare direttamente.

La giudice Ketanji Brown Jackson si è chiesta se il contesto, come “una pandemia che si presenta una volta sola nella vita”, possa cambiare i principi del Primo Emendamento.

La giudice Jackson ha dichiarato di temere che il caso potrebbe portare il Primo Emendamento ad ostacolare il governo in modo significativo nei momenti più importanti”. Ha sostenuto che il governo ha “il dovere di prendere provvedimenti per proteggere i cittadini di questo Paese”.

Holland ha detto che l’avvocato dei querelanti ha sostenuto che il punto non è impedire al governo di comunicare, ma che “la risposta appropriata alla libera espressione è ancora più espressione, invece che censurare le persone. In questo caso, il governo stava sopprimendo le voci indipendenti sulle elezioni, sulla salute, sulla COVID, sui lockdown e così via”.

Holland ha aggiunto:

“E a nostro avviso, il governo non può censurare l’espressione di punti di vista sgraditi. E loro hanno preso di mira specificamente un discorso con cui non erano d’accordo. Era un punto di vista diverso”.

Holland ha definito “produttive” le due ore di dibattimento. Ha detto: “Ogni giudice è stato coinvolto, nessuno escluso. E ne sono grata. Ad essere sincera, non so dirvi in questo momento in che modo si pronuncerà la Corte”.

I media aziendali dipingono il caso con un pennello di parte, i querelanti non sono d’accordo

Per la maggior parte, i media mainstream hanno presentato la causa come una questione di parte guidata dai repubblicani che cerca di limitare, ad esempio, la capacità del Dipartimento di Sicurezza Nazionale di segnalare i contenuti che “possono essere opera di agenti di disinformazione stranieri” o di far circolare “disinformazione” e “teorie del complotto”.

I querelanti e altri – tra cui CHD, nella memoria amicus che ha presentato per conto dei querelanti di Murthy contro il Missouri – ha sottolineato che molti dei discorsi censurati erano in realtà veritieri, che l’amministrazione ha cercato di censurare solo persone e punti di vista particolari e che il Primo Emendamento protegge il diritto di esprimersi e di ascoltare i discorsi politici degli altri.

I tribunali di grado inferiore hanno affermato l’accusa principale, secondo cui l’amministrazione Biden ha probabilmente violato il Primo Emendamento quando, in una “campagna coordinata”, ha fatto pressione sulle piattaforme di social media affinché rimuovessero i contenuti che considerava “disinformazione” sulla pandemia di COVID-19, sui vaccini e su altri argomenti, limitando temporaneamente la loro capacità di farlo.

L’amministrazione Biden ha presentato ricorso alla Corte Suprema, sostenendo che un’ingiunzione impedirebbe al governo di parlare con le aziende tecnologiche di questioni di sicurezza nazionale e di esortarle a proteggere gli adolescenti dagli effetti nocivi dei social media.

Il giudice Alito ha sospeso l’ingiunzione nel settembre 2023 in modo temporaneo, in attesa che la Corte Suprema riesamini il caso.

La Corte Suprema è attualmente impegnata in diversi altri casi relativi alla libertà di parola e a Internet. Il mese scorso sono stati discussi i casi di contestazione delle leggi del Texas e della Florida che vietano alle società di social media di censurare i contenuti pubblicati sulle loro piattaforme. Venerdì 15 marzo, la Corte ha emesso una decisione in un caso che stabilisce le regole su quando i funzionari pubblici possono essere legalmente responsabili per aver bloccato i dissidenti sui social media.

The Defender pubblica occasionalmente contenuti relativi alla missione no-profit di Children’s Health Defense che riportano il punto di vista del signor Kennedy sulle questioni che CHD e The Defender trattano regolarmente. In conformità con le regole della Commissione elettorale federale, questo contenuto non rappresenta un’approvazione del signor Kennedy, che è in congedo da CHD ed è candidato come indipendente alla presidenza degli Stati Uniti.