Ndr: Segue il testo di un discorso fatto il 24 ottobre scorso dalla giornalista Whitney Webb alla conferenza inaugurale di Children’s Health Defense a Knoxville, Tennessee.

Ogni giorno che passa sembra che il giornalismo diventi sempre meno una professione e sempre più un terreno di guerra. Infatti la differenza tra giornalismo e “informazione di guerra” sta diventando sempre più difficile da indicare.

Anche se il giornalismo continua a essere definito come lo “scrivere caratterizzato dalla presentazione diretta dei fatti o la descrizione di eventi senza cercare di interpretarli” — nella pratica, esso è diventato un campo di battaglia in cui i media più potenti — ovvero quelli più vicini ai centri di potere — manipolano deliberatamente od omettono fatti per costruire una narrativa ad espresso beneficio dei potenti e al tempo stesso agiscono in combutta nel censurare la concorrenza più veritiera.

Questi media agiscono come mercenari, distorcendo la realtà senza farsi scrupoli sull’impatto negativo delle loro azioni sulla nostra società. Costoro non servono il pubblico, ma chi ha le risorse finanziarie maggiori.

Così facendo, in molti casi, questi giornalisti mercenari operano di proposito la soppressione dei fatti e denigrano quei giornalisti che invece lottano per difendere la verità sopra ogni cosa.

Invece di chiedere conto ai potenti, molti cosiddetti giornalisti oggi agiscono da complici dei potenti nei crimini commessi da questi a danno della gente.

La presentazione obiettiva dei fatti, per quanto riguarda gran parte dei media principali, è cosa morta oramai da tempo. Di conseguenza, la fiducia del pubblico in questi media è del tutto crollata.

Eppure anche la cosiddetta stampa indipendente o alternativa, che sfida apertamente i media principali, è spesso afflitta da problemi simili, in quanto la rincorsa ai click e alla fama ha spesso la meglio sull’ideale di riportare i fatti in modo obiettivo e fattuale, anche fuori dai media principali.

Di conseguenza, navigare il mare magnum del giornalismo non è mai stato così difficile o pieno di insidie come oggi.

Ma se i piani di alcuni dovessero riuscire, navigare il variegato paesaggio dei media in cerca della verità diventerà presto impossibile. Vengono fatti sforzi enormi, pianificati da anni, per censurare le opinioni dissenzienti con la scusa di censurare la “disinformazione.”

Come molti di voi senza dubbio sapranno, ciò che l’anno scorso era “disinformazione” riguardo le iniezioni anti COVID-19 ha solo di recente subìto una trasformazione drammatica in “ultime notizie”.

Eppure molti di noi, che avevano ragione sin dall’inizio e sono stati censurati quando le informazioni fattuali ora riconosciute come vere venivano erroneamente etichettate come “disinformazione”, non hanno ricevuto né scuse né il reddito perso. In molti casi, le nostre piattaforme non ci sono nemmeno state restituite.

La ghigliottina della censura non è stata calata con incompetenza. Infatti, è stata e viene ancora usata intenzionalmente per eliminare quelli di noi che osano dire la verità, per quanto possa essere scomodo in un dato momento.

Con la continua massiccia censura online si stanno normalizzando restrizioni sempre maggiori: il deplatforming (o rimozione dalle piattaforme dei social, NdT) e altre simili manifestazioni sono diventate cosí pervasive che molti hanno finito semplicemente con l’accettarle come la “nuova normalità”.

Questa “nuova normalità” per quanto riguarda la libertà di parola è tanto più insidiosa quanto più è stata graduale, perché ci stanno addestrando ad accettare limitazioni inconstituzionali a ciò che possiamo esprimere sui siti web che dominano la socializzazione online.

L’argomentazione che viene spesso portata per silenziare le proteste sulla censura online è che le aziende dei social media dominanti non sono compagnie pubbliche, ma private.

Però, in realtà, le aziende Big Tech che dominano la nostra vita online, in particolare Google e Facebook, sono state create o con la partecipazione dello stato di sicurezza nazionale degli Stati Uniti o sono diventate fornitori del governo o dell’esercito americano negli ultimi due decenni.

Quando parliamo di censura e di rimozione dalle piattaforme social di persone in base ad affermazioni che vanno contro le narrazioni del governo degli Stati Uniti, dovrebbe essere chiaro che YouTube, di proprietà di Google, cosí come altre piattaforme di proprietà di fornitori delle forze armate e di intelligence statunitensi, hanno un enorme conflitto d’interessi quando soffocano la libera espressione.

La linea tra la “privata” Silicon Valley e il settore pubblico è diventata sempre più indistinta ed è ora un dato di fatto che queste aziende hanno passato, in modo illegale, informazioni a servizi d’intelligence come la NSA [National Security Agency], per programmi di sorveglianza ovviamente incostituzionali mirati ai civili americani.

Tutti gli indizi mostrano che il complesso militare-industriale si è ora espanso in un complesso militare-tecnologico-industriale.

Di questi tempi basta guardare importanti commissioni governative — come la Commissione di sicurezza nazionale sull’intelligenza artificiale, diretta dall’ex amministratore delegato di Google/Alphabet, Eric Schmidt — per vedere come funzioni quello che è de facto un parteneriato pubblico-privato tra Silicon Valley e lo stato di sicurezza nazionale, e il suo ruolo sproporzionato nel decidere importanti politiche sulla tecnologia sia per il settore privato che per quello pubblico.

Ad esempio, quella commissione, composta in gran parte da rappresentanti delle forze armate, dei servizi segreti e di Big Tech, ha aiutato a creare la politica per “contrastare la disinformazione” online.

Più specificamente, ha raccomandato l’uso dell’intelligenza artificiale (AI) come arma, allo scopo specifico di identificare gli account da rimuovere dalle piattaforme dei social e i discorsi da censurare, inquadrando questa raccomandazione come essenziale per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti in quanto attinente alla “guerra dell’informazione”.

Ci sono già diverse aziende in competizione per vendere un motore di censura alimentato dall’intelligenza artificiale allo stato di sicurezza nazionale oltre che al settore privato, da utilizzare allo stesso modo contro giornalisti e non giornalisti.

Una di queste aziende è Primer AI, una società di “machine intelligence” che “costruisce macchine software che leggono e scrivono in inglese, russo e cinese per scoprire automaticamente tendenze e schemi in grandi volumi di dati”.

L’azienda dichiara pubblicamente che il suo lavoro “supporta la missione della comunità dei servizi segreti e del più ampio DOD [Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti] automatizzando i compiti di lettura e ricerca per aumentare la velocità e la qualità del processo decisionale”.

Tra i clienti di Primer AI non ci sono solo le forze armate e la comunità dei servizi segreti statunitensi, ma anche grandi aziende americane come Walmart e organizzazioni “filantropiche” private come la Bill & Melinda Gates Foundation.

Il fondatore di Primer AI, Sean Gourley, che in passato ha creato programmi di AI per le forze armate per rintracciare i ribelli nell’Iraq post-invasione, ha affermato in un articolo di blog dell’aprile 2020 che “la guerra computazionale e le campagne di disinformazione diventeranno una minaccia più seria della guerra fisica, e dovremo ripensare le armi che impieghiamo per combatterle”.

In quello stesso articolo, Gourley ha auspicato la creazione di un “Progetto Manhattan per la verità” che creerebbe un database di tipo Wikipedia disponibile al pubblico, costruito a partire da “basi di conoscenza [che] esistono già all’interno delle agenzie dei servizi segreti di molti Paesi per scopi di sicurezza nazionale”.

Gourley ha scritto che “questo sforzo sarebbe in definitiva mirato a costruire e migliorare la nostra intelligence collettiva e a stabilire una linea di base per decidere ciò che è o non è vero”. In altre parole, Gourley sostiene che dovremmo lasciare che sia la CIA a dirci cosa è vero e cosa è falso.

Conclude il suo articolo di blog affermando che “nel 2020 inizieremo ad usare la verità come arma”. E, due anni dopo, sembra che Gourley avesse ragione. Questo è ciò che hanno fatto.

Da quell’anno, Primer AI è sotto contratto con le forze armate statunitensi per “sviluppare la prima piattaforma mai costruita di apprendimento automatico per identificare e valutare automaticamente ciò che si sospetta sia disinformazione”.

Il fatto che sia stata usata l’espressione “ciò che si sospetta sia disinformazione” non è casuale, in quanto molti casi di censura online hanno riguardato solo affermazioni, anziché conferme, che il discorso censurato, compreso il giornalismo censurato, faccia parte di una campagna di disinformazione collegata a uno Stato nazionale o a un “cattivo attore”.

Sebbene queste campagne esistano, i discorsi legittimi e protetti dalla costituzione che si discostano dalla narrazione “ufficiale” autorizzata dal governo vengono spesso censurati in base a questi parametri, spesso con poche o nessuna possibilità di appellarsi in modo significativo alla decisione del censore.

In altri casi, i post “sospettati” di essere disinformazione o che vengono segnalati come tali (a volte erroneamente) dagli algoritmi dei social media, vengono rimossi o nascosti alla vista del pubblico senza che il postatore ne sia a conoscenza.

Inoltre, il “sospetto di disinformazione” può essere usato per giustificare la censura di discorsi scomodi per particolari governi, aziende e gruppi, poiché non è necessario avere prove o presentare un caso coerente che tali contenuti siano disinformativi: è sufficiente lanciare sospetti su di essi per farli censurare.

A complicare ulteriormente la questione c’è il fatto che alcune affermazioni inizialmente etichettate come “disinformazione” diventano in seguito fatti accettati o riconosciuti come discorsi legittimi. Questo è accaduto in più di un’occasione durante la crisi da COVID-19, dove dei giornalisti si sono visti cancellare i loro account o censurare i loro scritti solo per aver affrontato questioni come l’ipotesi della fuga dal laboratorio e per aver messo in dubbio l’utilità delle mascherine e l’efficacia del vaccino, tra molte altre questioni.

Un anno o due dopo, gran parte di questa presunta “disinformazione” è stata riconosciuta come una legittima via d’indagine giornalistica. L’iniziale censura generale su questi temi è avvenuta per volere di attori sia pubblici che privati perché erano temi scomodi rispetto a quella che era la narrazione prevalente.

In quella che sembra essere l’evidente realizzazione delle richieste di Primer AI, l’amministrazione Biden ha recentemente annunciato una spinta per “aumentare l’alfabetizzazione digitale” tra gli americani, censurando al contempo i “contenuti dannosi” diffusi dai cosiddetti “terroristi interni” e dalle “potenze straniere ostili che cercano di minare la democrazia americana”.

Quest’ultimo è un chiaro riferimento all’affermazione secondo cui dare notizie in modo critico sulla politica del governo statunitense, in particolare sulle sue attività militari e di intelligence all’estero, sarebbero sinonimo di “disinformazione russa”, un’affermazione ormai screditata che è stata utilizzata per censurare pesantemente i media indipendenti.

Per quanto riguarda l'”aumento dell’alfabetizzazione digitale”, i documenti sulle politiche dell’amministrazione Biden chiariscono che si tratta di un nuovo programma di istruzione per l'”alfabetizzazione digitale” attualmente in fase di sviluppo da parte del Dipartimento di Sicurezza Nazionale (Homeland Security), l’agenzia di intelligence degli Stati Uniti focalizzata sul territorio nazionale, per un pubblico nazionale.

Questa iniziativa di “alfabetizzazione digitale” sarebbe in violazione della legge statunitense precedente, senonché l’amministrazione Obama ha collaborato con il Congresso per abrogare lo Smith-Mundt Act, il che ha eliminato il divieto, risalente alla Seconda Guerra Mondiale, che proibiva al governo degli Stati Uniti di indirizzare la propaganda al pubblico nazionale.

La politica di guerra al terrorismo interno dell’amministrazione Biden chiarisce anche che la censura, come descritto sopra, fa parte di una “priorità più ampia” dell’amministrazione, definita come segue:

“Rafforzare la fiducia nel governo e combattere l’estrema polarizzazione, alimentata da una crisi di disinformazione e di informazioni fuorvianti spesso incanalate attraverso le piattaforme dei social media, che può dividere gli americani e istigare alcuni alla violenza”.

In altre parole, promuovere la fiducia nel governo e allo stesso tempo censurare le voci “polarizzanti” che danno voce a dubbi o critiche nei riguardi del governo è un obiettivo politico chiave alla base della strategia contro il terrorismo interno dell’amministrazione Biden.

Inoltre, questa affermazione implica che gli americani che non sono d’accordo tra loro sono problematici e inquadra il disaccordo come una causa di violenza, invece che come un evento normale in una presunta democrazia che ha protezioni costituzionali per la libertà di parola. Da questo inquadramento, è implicito che tale violenza può essere fermata solo se tutti gli americani si fidano del governo e sono d’accordo con le sue narrazioni e le sue “verità”.

Inquadrare le deviazioni da queste narrazioni come minacce alla sicurezza nazionale, come viene fatto in questo documento, invita a etichettare i discorsi non conformi come “violenza” o “incitamento alla violenza” attraverso la fomentazione del disaccordo.

Di conseguenza, chi pubblica online dei discorsi non conformi potrebbe presto ritrovarsi ad essere etichettato come “terrorista” dallo Stato, se questa politica non viene fermata.

Cosa significa questo per i giornalisti? Tutti i giornalisti devono conformarsi ai punti di discussione approvati dal governo per non essere accusati di “incitare alla violenza” e al “terrorismo”?

Se un giornalista riporta informazioni veritiere che fanno arrabbiare l’opinione pubblica nei confronti di alcune istituzioni governative, deve essere considerato una minaccia per la sicurezza nazionale in questo contesto?

Sebbene uno scenario del genere possa sembrare fantastico per alcuni, non bisogna guardare oltre il caso di Julian Assange, che attualmente viene trattato come un terrorista per aver pubblicato informazioni fattuali che erano però scomode per le potenti fazioni che gestiscono l’impero americano.

La guerra dell’informazione, quando è condotta dai potenti di questo Paese, è una guerra sulla verità. È una guerra per sostituire la verità con una narrazione che sostenga i loro bisogni, non i nostri. È una guerra per distorcere la realtà e per manipolare il pubblico affinché sostenga delle politiche contrarie ai propri interessi.

Sebbene possano inquadrare tali misure come necessarie per “proteggere” la democrazia, la vera minaccia alla democrazia è proprio l’eliminazione e l’imminente criminalizzazione dell’espressione legittima e del giornalismo legittimo, una minaccia che dovrebbe turbare profondamente tutti gli americani.

Se lo stato di sicurezza nazionale controlla e impone le uniche narrazioni ammissibili e l’unica versione consentita della “verità”, sia per i giornalisti che per gli americani comuni, allora controllerà anche la percezione umana e, di conseguenza, il comportamento umano.

Si potrebbe sostenere che questo sia l’obiettivo finale di gran parte di ciò che stiamo vivendo oggi: il controllo totale sul comportamento umano.

Fortunatamente, per coloro che cercano di usare la verità come un'”arma da guerra” e di eliminare il dissenso, la verità non è così facile da manipolare e distorcere come pensano loro.

A livello viscerale, le persone tendono a gravitare verso la verità. Si può riuscire a nascondere la verità a molti o addirittura alla maggior parte di noi per un certo periodo, ma, una volta che viene fuori, non se ne può bloccare la diffusione.

I governi di tutto il mondo, i più grandi media del mondo e persino gruppi come il World Economic Forum cercano disperatamente di “ricostruire la fiducia” del pubblico. Nonostante questi sforzi, i sondaggi indicano che il pubblico si fida di loro meno che mai.

Possono rimuovere la verità dalle piattaforme, possono censurare la verità e possono imprigionare coloro che dicono la verità o etichettarli come terroristi – ma le loro bugie e le loro distorsioni non potranno mai, mai sostituirla.