Robert F. Kennedy Jr. e Children’s Health Defense (CHD) venerdì scorso hanno intentato una class action (o azione legale collettiva) contro il Presidente Biden, il Dr. Anthony Fauci e altri alti funzionari dell’amministrazione e delle agenzie federali, accusandoli di “aver condotto una campagna sistematica e concertata” per costringere le tre maggiori società di social media del Paese a censurare discorsi protetti dalla Costituzione.

Kennedy CHD e Connie Sampognaro hanno presentato la denuncia presso la Corte Distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto Occidentale della Louisiana, Divisione di Monroe, a nome di tutti gli oltre 80% di americani che accedono alle notizie dagli aggregatori di notizie online e dalle società di social media, principalmente Facebook, YouTube e Twitter.

I querelanti accusano i funzionari governativi di alto livello, insieme a un “esercito sempre più numeroso di funzionari federali, a tutti i livelli del governo”, dalla Casa Bianca all’FBI, alla CIA e al Dipartimento di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti (DHS, acronimo di Department of Homeland Security), fino alle agenzie federali meno conosciute di aver indotto quelle società:

“a soffocare i punti di vista sgraditi al governo, a sopprimere i fatti che il governo non vuole far conoscere al pubblico e a mettere a tacere specifiche persone – in ogni caso critiche rispetto alla politica federale – che il governo ha preso di mira per nome”.

Kennedy, presidente e responsabile dell’ufficio legale di CHD, ha affermato che in questo caso è in gioco la stessa democrazia americana:

Il giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti Potter Stewart ha detto: ‘La censura riflette la mancanza di fiducia di una società in se stessa. È un segno distintivo di un regime autoritario’. Inoltre, viola la Costituzione”.

“La collaborazione tra la Casa Bianca e i burocrati delle agenzie sanitarie e di intelligence per mettere a tacere le critiche alle politiche presidenziali è un assalto alle fondamenta stesse su cui si basa la democrazia americana”.

L’argomentazione della causa si basa sul principio di Norwood, un principio “assiomatico” o autoevidente del diritto costituzionale secondo cui il governo “non può indurre, incoraggiare o promuovere persone private a compiere ciò che al governo stesso è costituzionalmente vietato compiere”.

Secondo i querelanti, il governo degli Stati Uniti ha usato le società di social media come agenti per procura per censurare illegalmente la libertà di parola.

La denuncia cita le continue e ormai settimanali rivelazioni di comunicazioni segrete tra le società di social media e i funzionari federali – nei “Twitter files“, in altre cause e nei notiziari – che hanno rivelato le minacce di Biden e di altri alti funzionari contro le società di social media se non avessero applicato la censura in modo aggressivo.

La causa cita esempi in cui la campagna di censura avrebbe calpestato le libertà garantite dal Primo Emendamento, come la storia del laptop di Hunter Biden, la teoria della fuga dal laboratorio di Wuhan del virus della COVID-19 e la soppressione di fatti e opinioni sui vaccini anti COVID-19.

I querelanti non chiedono danni economici. I cittadini chiedono invece che venga dichiarato che queste pratiche degli agenti federali violano il Primo Emendamento e che venga emessa un’ingiunzione a livello nazionale contro lo sforzo del governo federale di censurare i discorsi online protetti dalla Costituzione.

La denuncia fa riferimento a una decisione della Corte Suprema che ha affermato che le piattaforme dei social media sono “l’equivalente moderno della pubblica piazza” e sostiene che tutti gli americani che accedono alle notizie online godono della protezione garantita dal Primo Emendamento contro la censura di discorsi protetti in quella pubblica piazza.

Jed Rubenfeld, uno degli avvocati che hanno discusso il caso depositato venerdì, ha spiegato perché la causa è stata presentata come class action:

“Le piattaforme dei social media sono l’equivalente moderno della pubblica piazza. Per anni, il governo ha esercitato pressioni, promosso e indotto le società che controllano quella piazza a imporre proprio il tipo di censura proibito dal Primo Emendamento.

“Questa causa contesta questa campagna di censura a cui speriamo di porre fine. La vera vittima è il pubblico, ed è per questo che abbiamo intentato questa causa come class action per conto di tutti coloro che accedono alle notizie sui social media”.

Secondo la denuncia, quando l’amministrazione viola il [diritto garantito dal] Primo Emendamento di un’intera classe di persone, la magistratura deve intervenire per proteggere i diritti costituzionali degli americani:

“A parte la magistratura, nessun ramo del nostro governo, e nessun’altra istituzione, può fermare gli sforzi sistematici dell’attuale amministrazione per sopprimere la parola attraverso il canale delle società di social media.

“Non può farlo il Congresso, non vuole farlo l’Esecutivo e gli Stati non hanno il potere di farlo. Il destino della libertà di parola americana, come spesso è accaduto in passato, è ancora una volta nelle mani dei giudici”.

La causa cita anche il Surgeon General Dr. Vivek H. Murthy, il Segretario del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti Xavier Becerra, il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Istituto nazionale per le allergie e le malattie infettive), i Centers for Disease Control and Prevention (CDC, Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie), il Census Bureau degli Stati Uniti, il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, il DHS, l’Agenzia per la Cybersecurity e la Sicurezza delle Infrastrutture (CISA, acronimo di Cybersecurity and Infrastructure Security Agency) e altri individui e agenzie – 106 imputati in totale.

“La più grande operazione di censura autorizzata a livello federale” mai vista

Secondo la causa, gli sforzi dei funzionari federali per indurre le piattaforme di social media a censurare il discorso sono iniziati nel 2020 con la soppressione della teoria della fuga dal laboratorio del virus della COVID-19 e la storia del portatile di Hunter Biden.

Dopo l’insediamento del Presidente Biden nel gennaio 2021, degli alti funzionari della Casa Bianca hanno riferito che il team di Biden avrebbe iniziato a “impegnarsi direttamente” con le società di social media per “reprimere” i discorsi sfavorevoli alla Casa Bianca, che i funzionari definivano “disinformazione”,

Le rivelazioni avrebbero poi dimostrato che l’amministrazione chiedeva alle società di social media di sopprimere non solo i discorsi presumibilmente falsi, ma anche quelli che sapeva essere “del tutto accurati” e le espressioni di opinioni personali.

Questa pratica, si sostiene, si è diffusa a partire dall’amministrazione e attraverso l’intero governo, diventando “una campagna governativa per ottenere, attraverso l’intermediazione delle società di social media, esattamente il tipo di censura del discorso politico dissidente, basata sui contenuti e sui punti di vista, che è proibita dal Primo Emendamento”.

Simili accuse su questa massiccia campagna di censura federale sono state avanzate anche dai querelanti nella causa Missouri contro Biden ma questo caso introduce molte nuove accuse.

Alcuni esempi, ma non tutti, di soppressione della libertà di parola coordinata dal governo sui social media citati nella denuncia includono i seguenti:

  • Prove sostanziali di sforzi coordinati da parte di Fauci e altri per sopprimere la teoria della fuga dal laboratorio, che rimane plausibile e supportata da prove.
  • Un’ampia comunicazione via e-mail tra Fauci e Mark Zuckerberg, amministratore delegato di Facebook, dimostra che Facebook e altre aziende di social media hanno adottato politiche che identificano come “false” e “smontate” tutte le affermazioni sull’ipotesi della fuga dal laboratorio.
  • Facebook ha ammesso che la sua censura dei discorsi relativi alla COVID-19, per presunti motivi di falsità, si basa su ciò che “ci hanno consigliato gli esperti di salute pubblica “.
  • Le dichiarazioni pubbliche di Zuckerberg al podcast di Joe Rogan, secondo cui Facebook avrebbe soppresso la storia del portatile di Hunter Biden in seguito a comunicazioni dell’FBI.
  • Ampio commento pubblico dell’agente speciale dell’FBI Elvis Chan sul suo lavoro con le aziende di social media e la CISA per discutere della soppressione del discorso collegato alle elezioni sui social media.
  • I “Twitter files” documentano la soppressione da parte di Twitter della storia del laptop di Hunter Biden.
  • I documenti dei “Twitter files” dimostrano incontri settimanali tra gli agenti della task force sui social media , composta da 80 agenti dell’FBI, e Twitter per discutere la soppressione dei contenuti, nonché i pagamenti diretti dell’FBI a Twitter per aver adempito alle richieste.
  • Il lavoro della CISA con il Center for Internet Security, un gruppo di terze parti, per segnalare i contenuti, compresi particolari individui, ai fini della censura sui social media.
  • Prove dai “Twitter files” sull’Election Integrity Partnership (EIP, Partenariato per l’intergrità elettorale), una vasta rete di interazioni di alto livello con il governo federale e le piattaforme di social media – che comprendeva proposte, alla fine adottate, per l’istituzione da parte del governo degli Stati Uniti di un proprio comitato per la “disinformazione”. Un sostenitore della libertà di parola ha descritto l’EIP come “la più grande operazione di censura autorizzata a livello federale” che abbia mai visto.
  • Documenti che dimostrano che, dopo le elezioni, l’EIP è stato trasformato nel “Virality Project“, che doveva “agire anche contro ‘storie di veri effetti collaterali dei vaccini‘ e ‘post veritieri che potrebbero alimentare l’esitazione'”.
  • Minacce da parte di rappresentanti del Congresso, senatori e Biden di smantellare le aziende Big Tech se non avessero migliorato le pratiche di censura.
  • Documenti del Census Bureau che descrivono il lavoro del suo team “Trust & Safety” (Fiducia e sicurezza) con le piattaforme di social media per “contrastare le informazioni false”.
  • I documenti “Twitter files”, i resoconti giornalistici e i documenti ricevuti attraverso le richieste in base al Freedom of Information Act (Legge sulla libertà di informazione) che hanno dimostrato una miriade di comunicazioni coerenti con Facebook, Twitter e Google (YouTube) e numerosi funzionari dell’amministrazione Biden citati come imputati nella causa, tra cui Murthy, l’ex segretario stampa della Casa Bianca Jen Psaki, funzionari del CDC, del DHS, della U.S. Food and Drug Administration (Agenzia federale per gli alimenti e i farmaci), della CISA, del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, della Casa Bianca – compresi i Consiglieri della Casa Bianca – e di altre agenzie su come agire contro la “disinformazione” relativa alla COVID-19.

Quest’ultima serie di comunicazioni comprendeva azioni contro la cosiddetta “dozzina della disinformazione”, che include Kennedy. Secondo la denuncia, “Facebook stesso ha dichiarato che la famigerata ‘dozzina della disinformazione’ non ha alcun supporto fattuale”.

Kennedy ha twittato alcune delle prove che la Casa Bianca lo ha censurato direttamente:

La denuncia sostiene che la collusione tra l’amministrazione, le agenzie federali e le società di social media per sopprimere la libertà di parola protetta dalla Costituzione ora si estende anche al di là delle elezioni e dei commenti relativi alla COVID-19, includendo la soppressione della parola su argomenti come il cambiamento climatico”,l’energia pulita,” “la disinformazione di genere,” i centri di risorse per la gravidanza antiabortisti e altri argomenti.

Inoltre, sulla base di una ricerca del Media Research Center che ha identificato centinaia di casi di critiche censurate rivolte a Biden, la denuncia sostiene che le società di social media “hanno ottenuto un successo sorprendente nell’imbavagliare le critiche pubbliche a Joe Biden”.

Sostiene che il potere esercitato dagli imputati sui social media conferisce loro un “potere storicamente senza precedenti sul discorso pubblico in America – il potere di controllare ciò che centinaia di milioni di persone in questo Paese possono dire, vedere e sentire”.

La presidente di CHD Mary Holland, che è anche consigliere generale di CHD, ha dichiarato a The Defender:

“Se il governo può censurare chi lo critica, allora non c’è atrocità che non possa commettere. Negli ultimi tre anni il pubblico è stato privato di informazioni veritiere, di vita e di morte. Questa causa mira a mettere fine alla censura del governo, come dovuto, in quanto è illegale secondo la nostra Costituzione”.

L’azione legale chiede al tribunale di interdirli per sempre dall'”intraprendere qualsiasi azione per chiedere, sollecitare, fare pressione o indurre in altro modo qualsiasi piattaforma di social media a censurare, sopprimere, rimuovere, sospendere, oscurare dei contenuti o ostacolarne la diffusione, limitare l’accesso a discorsi costituzionalmente protetti o intraprendere qualsiasi altra azione negativa contro qualsiasi persona, contenuto protetto o punto di vista espresso sui social media”.