Una madre il cui figlio adolescente è morto suicida ha citato in giudizio Meta Platforms Inc., proprietario di Facebook e Instagram e Snap, Inc., proprietario di Snapchat, per l’omicidio colposo di suo figlio.

In una denuncia presentata la scorsa settimana, Donna Dawley di Kenosha, stato del Wisconsin, ha sostenuto che le società di social media hanno deliberatamente progettato i loro algoritmi per assuefare le persone, in particolare i minori e i bambini, alle loro piattaforme e per limitare la capacità dei genitori di monitorare e proteggere i loro figli online.

Christopher James Dawley, conosciuto come CJ dai suoi amici e familiari, aveva 14 anni quando si è iscritto a Facebook, Instagram e Snapchat. Come molti adolescenti, ha documentato la sua vita su queste piattaforme.

CJ lavorava come cameriere alla Texas Roadhouse di Kenosha. Amava giocare a golf e guardare la serie televisiva, “Doctor Who” ed era molto richiesto dai college di alto livello.

“Il suo consulente scolastico riteneva che sarebbe stato ammesso da qualunque college avrebbe scelto”, sua madre ha detto alla CNN Business.

Durante il liceo, CJ ha sviluppato quella che i suoi genitori hanno descritto come “una dipendenza dai social media”.

Al suo ultimo anno, “non riusciva a smettere di guardare il suo cellulare”, ha detto Dawley.

“Spesso rimaneva sveglio fino alle 3 del mattino su Instagram a messaggiare con altri, a volte scambiando foto di nudo. Era diventato carente di sonno e ossessionato dalla sua immagine corporea”, ha detto.

Secondo la causa legale intentata dalla sua famiglia, la dipendenza di CJ è cresciuta a dismisura fino a quando:

“Il 4 gennaio 2015, mentre la sua famiglia stava smontando l’albero di Natale e le decorazioni, CJ andò nella sua stanza. Inviò un messaggio di testo al suo migliore amico — ‘God’s speed (buona fortuna, addio. N.d.T.)’ — e pubblicò un aggiornamento sulla sua pagina Facebook: ‘Chi ha spento la luce?

“CJ tenne un fucile calibro 22 in una mano, lo smartphone nell’altra e si uccise. Aveva 17 anni… I suoi genitori hanno detto che non aveva mai mostrato segni apparenti di depressione o di ideazione suicida.

“‘Quando l’abbiamo trovato, il suo telefono era ancora acceso, ancora nella mano, macchiato dal suo sangue’, disse Donna Dawley. ‘Era così dipendente da esso che anche i suoi ultimi momenti di vita hanno consistito nel postare sui social media'”.

Dawley ha detto alla CNN che lei e suo marito, Chris, sono convinti che la salute mentale di CJ abbia sofferto dal diretto risultato della natura assuefacente delle piattaforme mediatiche.

Hanno dichiarato che sono stati motivati a presentare la causa contro Meta e Snap dopo che l’informatore di Facebook, Frances Haugen, fece trapelare centinaia di documenti interni — tra cui alcuni che dimostrano che la società era consapevole delle modalità in cui Instagram può danneggiare la salute mentale e l’immagine corporea.

Algoritmi progettati per creare dipendenza

La causa legale presentata dai Dawley sostiene che gli algoritmi di Facebook e di Snapchat sono “deliberatamente progettati per rendere le persone dipendenti — in particolar modo i minori e i bambini — omettendo di allertare i genitori su questi pericoli e limitando la capacità dei genitori di monitorare e proteggere i loro figli durante la permanenza online”.

La causa sostiene:

“Gli algoritmi utilizzati sui social media degli imputati sfruttano la ridotta capacità decisionale degli utenti minorenni, il controllo degli impulsi, la maturità emotiva e la resilienza psicologica causata dallo sviluppo incompleto del cervello degli utenti”.

“La causa afferma che i giganti dei social media hanno fallito nel progettare i loro prodotti con una forma di protezione che “abbia tenuto conto dell ‘immaturità psicosociale dei loro utenti minorenni”.

Quest’ultima causa si unisce a un numero crescente di cause intentate contro le società di social media, che denunciano danni contro i minori sulla scia delle rivelazioni di Haugen sulla manipolazione deliberata di Facebook dei contenuti degli utenti al fine d’incoraggiare la dipendenza della sua piattaforma.

Ispirato dalle nuove testimonianze di Haugen, Matthew Bergman, l’avvocato dei Dawley, ha fondato il Social Media Victims Law Center. Ad oggi, il centro rappresenta 20 famiglie che hanno intentato cause per omicidio colposo contro le società di social media.

Secondo il sito web del Centro:

“[Queste cause] si focalizzano intorno alla responsabilità oggettiva del prodotto e al difetto di progettazione da parte dei produttori. In particolare, le Meta Platforms e Snap non sono riuscite a: fornire adeguate salvaguardie da contenuti dannosi e predatoriali; verificare l’età e l’identità degli utenti minorenni; fornire un adeguato controllo e monitoraggio da parte dei genitori; proteggere gli utenti minorenni dall’essere intenzionalmente indirizzati a contenuti dannosi e predatoriali; offrire protezione agli utenti minorenni dall’essere sfruttati e abusati sessualmente; progettare prodotti di social media che non creano dipendenza e fornire un’adeguata notifica ai genitori circa l’utilizzo pericoloso e problematico dei social media da parte degli utenti minorenni”.

Nella parte video del servizio, Bergman ha dichiarato alla CNN: “questa è una causa legale molto all’avanguardia, dato che stiamo imparando solo ora cosa siano esattamente questi algoritmi”.

Un prodotto pericoloso, non libertà di parola

La causa presentata dalla famiglia Dawley cerca esplicitamente di evitare qualsiasi tentativo di ‘difesa della libera espressione’ da parte delle piattaforme mediatiche, affermando che la questione legale non è il contenuto intellettuale di qualsiasi terza parte che utilizza la piattaforma, ma il prodotto stesso, in particolare gli algoritmi che generano dipendenza:

“Le caratteristiche del prodotto degli imputati sono progettate per creare dipendenza e essere dannose di per sé, indipendentemente da qualsiasi contenuto che possa esistere sulle piattaforme degli imputati. Per esempio, le funzioni “mi piace” di Meta e gli “Snapstreaks” di Snapchat [che facilitano uno ‘scorrimento senza fine’] sono neutre dal punto di vista del contenuto.

“Nessuna delle richieste dei querelanti consiste nel trattare gli imputati come gli editori o i portavoce di parole o contenuti di terzi. Le richieste di risarcimento danni dei querelanti mirano a ritenere gli imputati responsabili per i loro presunti atti illeciti e relative omissioni, non per i discorsi di altri o per i tentativi, in buona fede, da parte degli imputati di limitare l’accesso a contenuti discutibili”.

La causa sostiene anche che Facebook e Snapchat hanno deliberatamente progettato le loro piattaforme per rendere più difficile la supervisione dei genitori omettendo di avvertire adeguatamente i genitori riguardo i pericoli.

Secondo la documentazione presentata, Facebook e Snapchat “hanno dichiarato nei commenti pubblici che i loro prodotti non creano dipendenza e non sono stati progettati per creare dipendenza” anche se sapevano, o avrebbero dovuto sapere, che le dichiarazioni erano false.

Inoltre, “né Meta né Snap hanno avvertito gli utenti, o i loro genitori, che l’uso dei loro prodotti era noto per causare sia dipendenza sia effetti mentalmente dannosi negli utenti minori d’età, come per il deceduto CJ Dawley”.

Al contrario, le società mediatiche hanno fatto di tutto per “nascondere e/o evitare la divulgazione della vera natura dei loro prodotti”.

L’aumento del 146% dei suicidi tra gli adolescenti è correlato all’uso dei social media

Citando i dati del Centers for Disease Control and Prevention, il centro fondato da Bergman sottolinea che tra il 2007 e il 2018, c’è stato un incremento del 146% di suicidi tra i bambini di età compresa tra i 12 e i 16 anni.

Durante le udienze al Senato dell’ottobre 2021, i legislatori di entrambe le parti politiche hanno discusso delle loro preoccupazione riguardo al rischio ai minori rappresentato dagli algoritmi dei social media.

La senatrice Marsha Blackburn, (R-Tenn., Repubblicana-stato del Tennessee), ha accusato Facebook di prendere intenzionalmente di mira i bambini al di sotto dei 13 anni d’età con un prodotto che “crea dipendenza” — nonostante l’app richieda che gli utenti abbiano un’età pari o superiore ai 13 anni.

“È chiaro che Facebook dà la priorità al profitto rispetto al benessere dei bambini e di tutti gli utenti”, ha detto Blackburn.

Il presidente del sub-comitato, Richard Blumenthal, (D-Conn., Democratico-stato del Connecticut), ha fatto eco alle critiche di Blackburn:

“Facebook ha sfruttato gli adolescenti usando potenti algoritmi che hanno amplificato le loro insicurezze. Spero che discuteremo sull’eventualità che un algoritmo possa essere definito sicuro”.

John Handley, politologo e blogger di Medium.com, l’anno scorso ha dichiarato: “La direzione causale non è stata ancora stabilita con certezza, ma il fatto che un enorme picco nel suicidio e nella depressione adolescenziale coincida con l’espansione dei social media e che l’uso dei social media sia fortemente correlato alla depressione (specialmente per le ragazze) è estremamente preoccupante”.

Non si tratta di soldi

“Il denaro non è ciò che spinge Donna e Chris Dawley a intentare questa causa e a rivivere la perdita inimmaginabile che hanno sostenuto”, ha riferito Bergman alla CNN.

“L’unico modo”, ha detto, “per costringere le [società di social media] a modificare i loro pericolosi algoritmi, ma altamente redditizi, è quello di cambiare la misura del loro calcolo economico facendogli pagare i veri costi che i loro pericolosi prodotti hanno inflitto a famiglie come quella dei Dawley”.

Ha aggiunto:

“Di fronte a simili casi di oltraggiosa cattiva condotta da parte dei costruttori del prodotto, le giurie hanno assegnato decine di milioni di dollari in danni compensativi e imposto risarcimenti per danni punitivi da miliardi di dollari. Ho tutte le ragioni per anticipare che una giuria, dopo aver valutato equamente tutte le testimonianze, potrebbe arrivare a una simile sentenza per questo caso”.

Secondo il fascicolo del tribunale su Dawley, poco prima di spararsi, CJ ha scritto a mano il seguente messaggio alla sua famiglia sulla busta che conteneva la sua lettera di accettazione al college:

“Non voglio che voi pensiate che sia tutta colpa vostra. Non lo è. Sono f****d up (ridotto uno schifo, fottuto, N.d.T.). Mi avete mostrato amore e dato un famiglia. Vorrei non dovervi fare questo. Amo tutti voi più del mondo intero. È difficile essere una persona di questi tempi. E vorrei credere in Dio. Se Dio esiste, dovrà implorare il mio perdono.

“Ci sono molte cose che non sapete di me. Quello che succede nella mia testa mi spaventa. Ho cercato di essere una brava persona. È proprio come se urlassi in un tunnel buio correndo dietro alla luce per essere felice.

“Ma le mie gambe sono stanche e cosa deve fare un uomo quando le luci si spengono? Dite ai miei amici che li ringrazio per l’amicizia e il sostegno e che li amo con tutto il mio essere. Ci ho provato”.