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30-11-2023 News

Big Tech

ONU lancia programma di identificazione digitale globale finanziato da Gates, ma gli esperti mettono in guardia da un “incubo totalitario”

Con il sostegno della Bill & Melinda Gates Foundation, questo mese le Nazioni Unite hanno lanciato la campagna “50 in 5” per promuovere e accelerare lo sviluppo di un’infrastruttura pubblica digitale globale. Un critico ha definito la campagna “un incubo totalitario” progettato per “attirare” i Paesi piccoli con “documenti d’identità digitali, portafogli digitali, leggi digitali, voto digitale e altro ancora”.

un gates global digital id feature

Con il sostegno della Bill & Melinda Gates Foundation, questo mese le Nazioni Unite hanno lanciato una “ambiziosa campagna guidata dai Paesi” per promuovere e accelerare lo sviluppo di un’infrastruttura pubblica digitale globale (DPI, acronimo di digital public infrastructure).

Il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP, acronimo di United Nations Development Programme) ha dichiarato che la campagna “50 in 5” stimolerà la costruzione di “una rete sottostante di componenti” che comprende “pagamenti digitali, sistemi di identificazione e scambio di dati”, che servirà come “acceleratore critico degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG, acronimo di Sustainable Development Goals)”.

“L’obiettivo della campagna è che in cinque anni 50 Paesi abbiano progettato, implementato e ampliato su scala almeno un componente della DPI in modo sicuro, inclusivo e interoperabile”, ha dichiarato l’UNDP.

Tra i critici della campagna si annovera Tim Hinchliffe, editor di The Sociable, che ha dichiarato a The Defender di ritenere che la DPI “sia un meccanismo di sorveglianza e controllo che combina l’identificazione digitale, le central bank digital currencies  [CBDC] (moneta digitale), i passaporti vaccinali e i dati di tracciamento dell’impronta di carbonio, aprendo la strada a Città intelligenti di 15 minuti, futuri lockdown e sistemi di credito sociale“.

Lo UNDP guida la campagna “50 in 5” insieme al Center for Digital Public Infrastructure (Centro per le infrastrutture pubbliche digitali), a Co-Develop e alla Digital Public Goods Alliance (Alleanza digitale per i beni pubblici). Tra i sostenitori figurano GovStack, la Banca interamericana di sviluppo e l’UNICEF, oltre alla Fondazione Gates.

Nel settembre 2022, la Fondazione Gates ha stanziato 200 milioni di dollari “per espandere l’Infrastruttura pubblica digitale globale [DPI]”, come parte di un piano più ampio per finanziare 1,27 miliardi di dollari in “impegni per la salute e lo sviluppo” verso l’obiettivo di raggiungere gli SDG entro il 2030.

La Fondazione Gates ha dichiarato all’epoca che il finanziamento era destinato a promuovere l’espansione di “infrastrutture che i Paesi a basso e medio reddito possono utilizzare per diventare più resilienti in crisi come la scarsità di cibo, le minacce alla salute pubblica e il cambiamento climatico, nonché per aiutare la ripresa economica dopo la pandemia”.

Greg Glaser, avvocato californiano specializzato in privacy, ha descritto la campagna “50 in 5” come “un incubo totalitario” e un’iniziativa “distopica” rivolta ai Paesi piccoli, “per attirarli con documenti d’identità digitali, portafogli digitali, leggi digitali, voto digitale e altro ancora”.

Per ragioni politiche, i tipi dell’ONU come Gates non possono pianificare apertamente un “governo mondiale”, quindi usano frasi diverse come “partnership globale” e “Agenda 2030″”. Glaser ha dichiarato a The Defender. “La gente può aggiungere ’50 in 5′ alla lista crescente di frasi distopiche”.

Un altro avvocato californiano che si occupa di privacy, Richard Jaffe, ha espresso sentimenti simili, dicendo a The Defender che l’iniziativa “50 in 5” “punta al problema molto più grande della globalizzazione, centralizzazione e digitalizzazione dei dati personali del mondo”.

“La mia preoccupazione a breve termine è rappresentata dai cattivi attori, e si tratterebbe di individui e piccoli gruppi, nonché di malintenzionati statali, che ora avranno un nuovo grande obiettivo o strumento per minacciare il normale funzionamento dei Paesi meno sofisticati tecnologicamente”, ha affermato.

Jaffe ha detto che il coinvolgimento di Gates “lo spaventa a morte”. Derrick Broze, caporedattore di The Conscious Resistance Network, ha dichiarato a The Defender che si tratta di “un altro segno che questa rinnovata spinta verso l’infrastruttura dell’identità digitale non andrà a beneficio della persona media”.

“Progetti come questi vanno solo a vantaggio dei governi che vogliono tracciare le loro popolazioni e delle aziende che vogliono studiare le nostre abitudini e i nostri movimenti quotidiani per venderci dei prodotti”, ha detto Broze.

Le iniziative per promuovere la DPI a livello globale godono anche del sostegno del G20. Secondo The Economist, al vertice del G20 a Nuova Delhi – tenutosi a settembre all’insegna dello slogan “Una Terra, una famiglia, un futuro” – l’India ha ottenuto il sostegno della Fondazione Gates, del Programma dell’UNDP e della Banca Mondiale per un piano di sviluppo di un archivio globale di tecnologie DPI.

“Il mondo non ha bisogno di 50 in 5”

Gli 11 Paesi “First-Mover”, che per primi hanno aderito a “50 in 5” sono il Bangladesh, l’Estonia, l’Etiopia, il Guatemala, la Moldavia, la Norvegia, il Senegal, Sierra Leone, Singapore, Sri Lanka e Togo.

“I Paesi, a prescindere dal livello di reddito, dalla geografia o dal punto in cui si trovano nel loro percorso di trasformazione digitale, possono trarre vantaggio dal far parte di 50 in 5”, si legge nella campagna, aggiungendo che “con sforzi costanti e collettivi, il mondo può costruire un futuro in cui la trasformazione digitale non è solo una visione ma una realtà tangibile”.

Secondo Glaser, gli 11 Paesi iniziali sono stati scelti non perché sono “leader digitali”, ma perché l’ONU vede le nazioni più piccole come una “minaccia unica”, in quanto i loro leader sono occasionalmente responsabili nei confronti del popolo.

“Abbiamo visto cosa succede ai leader delle piccole nazioni che rifiutano i prodotti preferiti dalle agenzie di intelligence internazionali, come i vaccini anti COVID-19, gli OGM [organismi geneticamente modificati] e i petrodollari”, ha detto Glaser. “I programmi delle Nazioni Unite come ’50 in 5′ sono un modo per i Paesi più piccoli di vendersi in anticipo alle Big Tech e di evitare preventivamente i ‘killer economici‘”, ha aggiunto.

Parlando all’evento di lancio di “50 in 5”, Dumitru Alaiba, vice primo ministro e ministro dello Sviluppo economico e della Digitalizzazione della Moldova, ha dichiarato: “La fonte del nostro più grande entusiasmo è il lavoro sulla super app del nostro governo. È modellata sulla riuscitissima app ucraina Diia [e] sarà lanciata nei prossimi mesi”.

Durante lo stesso evento, Cina Lawson, ministro dell’Economia e della Trasformazione digitale del Togo, ha dichiarato: “Abbiamo creato un certificato COVID digitale. All’improvviso, la lotta contro la pandemia è diventata in realtà una questione di utilizzo degli strumenti digitali per essere più efficaci”.

Secondo Hinchliffe, il sistema DPI del Togo ha avuto un’origine apparentemente benigna: è stato lanciato come un sistema di reddito di base universale per i cittadini del Paese, “ma poco dopo hanno ampliato il sistema per implementare i passaporti vaccinali”.

Il passaporto vaccinale del Togo era interoperabile con il certificato sanitario digitale dell’Unione Europea (UE). Nel 2021, l’UE è stata una delle prime entità governative a livello globale a introdurre tali passaporti. A giugno, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha adottato gli standard dell’UE per i certificati sanitari digitali su base globale.

Parlando al vertice del G20 di settembre, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dichiarato: “Il trucco è costruire un’infrastruttura digitale pubblica che sia interoperabile, aperta a tutti e affidabile”, e ha citato come esempio il certificato digitale COVID-19 dell’UE.

Quattro dei Paesi “First-Mover” sono africani. Shabnam Palesa Mohamed, direttrice esecutiva di CHD Africa Chapter (divisione africana di Children’s Health Defense) ha dichiarato a The Defender che la campagna “50 in 5” sarà utilizzata come strumento geopolitico. “L’Africa è sempre un obiettivo primario perché è relativamente poco sfruttata dal punto di vista digitale”, ha dichiarato.

“L’Africa ha bisogno di rispetto, cibo, acqua e pace”, ha detto. “Non ha bisogno della DPI”.

In modo simile, Hinchliffe ha detto: “Il mondo non ha bisogno di ’50 in 5′. La gente non l’ha mai chiesto. È stato imposto dall’alto. Quello che la gente vuole è che i loro governi facciano il loro vero lavoro: servire il popolo”.

Un rapporto del 2022 del World Economic Forum (WEF), “Advancing Digital Agency: The Power of Data Intermediaries” [Portare avanti l’agenda digitale: Il potere degli intermediari dei dati], afferma che i passaporti vaccinali “servono come forma di identità digitale”.

Nel 2020, il fondatore del WEF Klaus Schwab ha dichiarato: “La quarta rivoluzione industriale porterà alla fusione delle nostre identità fisiche, digitali e biologiche“.

L’ID digitale è destinata a fornire un “accesso sicuro” al governo e alle parti interessate private

Secondo The Economist, l’India sta promuovendo in modo massiccio le sue tecnologie per l’identificazione digitale, che sono state impiegate per la prima volta a livello nazionale, per essere implementate a livello globale nei “Paesi poveri”. Queste tecnologie hanno ottenuto il sostegno e il finanziamento di Bill Gates e della Fondazione Gates.

Ad esempio, Lawson ha dichiarato che il Togo sta emettendo documenti d’identità digitali biometrici “per tutti i nostri cittadini utilizzando la MOSIP” (Modular Open Source Identity Platform), un sistema sviluppato dall’International Institute of Information Technology di Bangalore.

La MOSIP, sostenuta dalla Fondazione Gates, dalla Banca Mondiale e dal fondatore di eBay Pierre Omidyar, si ispira ad Aadhaar, la piattaforma nazionale indiana di identificazione digitale – la più grande al mondo – che è stata oggetto di controversie.

Lanciato nel 2009, Aadhaar ha registrato oltre il 99% degli adulti indiani, collegandoli a molti servizi pubblici e privati. Secondo The Economist, però, Aadhaar “soffre di falle nella sicurezza” e, anche se “doveva essere facoltativo, è difficile funzionare senza”.

Glaser ha detto che Aadhaar “è stato un incubo per gli indiani. Viene costantemente violato dagli hacker, compreso ad esempio il più grande hackeraggio di informazioni personali nella storia del mondo all’inizio di questo mese, con informazioni personali vendute sul dark web”.

“Aadhaar è apertamente deriso in India”, ha detto Glaser. “L’unico motivo per cui viene ancora utilizzato dai cittadini è che non hanno alcuna scelta pratica. Per partecipare in modo significativo alla società indiana, è necessaria l’ID digitale”, ha aggiunto.

Ciononostante, Gates ha elogiato Aadhaar, descrivendolo sul suo blog come “una piattaforma preziosa per fornire programmi di assistenza sociale e altri servizi governativi”. Nell’ottobre 2021, la Fondazione Gates ha concesso una sovvenzione di 350.690 dollari per il lancio della Missione digitale indiana Ayushman Bharat, un sistema di identificazione sanitaria digitale collegato ad Aadhaar.

Un comunicato del Business 20 (B20) emesso a seguito del vertice del G20 di quest’anno invitava “le nazioni del G20 a sviluppare entro tre anni linee guida per un’identificazione digitale unica… che possa essere accessibile in modo sicuro (sulla base del consenso) da parte di diversi soggetti governativi e privati per la verifica dell’identità e l’accesso alle informazioni”.

In aprile, Nandan Nilekani, ex presidente della Unique Identification Authority of India [Autorità per l’identificazione unica dell’India], ha dichiarato a un panel del Fondo Monetario Internazionale sulla DPI che l’ID digitale, i conti bancari digitali e gli smartphone sono gli “strumenti del mondo nuovo”. Ha aggiunto che se si raggiunge questo obiettivo, “allora si può fare qualsiasi cosa. Tutto il resto si basa su questo”.

“La lezione per il resto del mondo è che non bisogna mai lasciare che l’ID digitale si radichi nella società”, ha detto Glaser. “Una volta che la classe dei consumatori di una nazione adotta l’ID digitale con partner globali, come in India, è praticamente scacco matto per quella nazione”.

“Quando dicono ‘inclusivo’, in realtà intendono ‘esclusivo'”

Secondo The Sociable, la DPI “promette di portare inclusione finanziaria, convenienza, miglioramento dell’assistenza sanitaria e progresso ecologico”.

Secondo la campagna “50 in 5”, la DPI “è essenziale per la partecipazione ai mercati e alla società in un’era digitale [ed] è necessaria a tutti i Paesi per costruire economie resilienti e innovative e per il benessere delle persone”.

Ma Hinchliffe ha smentito questa affermazione. “Non c’è bisogno dell’ID digitale e della governance digitale per fornire servizi migliori a un maggior numero di persone”, ha affermato. “Gli strumenti sono già disponibili. Si tratta di incentivi. Le aziende, i governi e i privati cittadini hanno tutti il potere di proporre soluzioni migliori, già adesso, ma perché non lo facciamo?”

Tuttavia, l'”inclusività” è una delle narrazioni chiave utilizzate per promuovere la DPI. La campagna “50 in 5” afferma che “i Paesi che costruiscono DPI sicure e inclusive… possono promuovere economie forti e società eque” e che la DPI “promuove l’innovazione, sostiene l’imprenditorialità locale e garantisce l’accesso ai servizi e alle opportunità per i gruppi meno privilegiati, compresi donne e giovani”.

Gli esperti che hanno parlato con The Defender hanno avvertito che la DPI ha il potenziale di essere uno strumento di esclusione.

Mentre le Nazioni Unite, la Fondazione Gates e la Fondazione Rockefeller promuovono la DPI come necessaria per un mondo “equo”, la realtà è che questi strumenti hanno il potenziale di favorire l’esclusione di attivisti politici, informatori e altri individui che hanno opinioni controverse”, ha affermato Broze.

Allo stesso modo, Mohamed di CHD Africa ha affermato che “le persone, i gruppi e le organizzazioni che rappresentano una minaccia per l’establishment saranno presi di mira per la sorveglianza digitale e l’isolamento socio-economico” tramite la DPI. “Questo… è un modo più semplice per controllare chi pensa in modo critico”.

Hinchliffe ha affermato che la DPI “accelererà il controllo tecnocratico attraverso l’ID digitale, le CBDC e la condivisione massiccia di dati, aprendo la strada a un sistema interoperabile di credito sociale”.

Analogamente, Glaser ha dichiarato: “Con la DPI, l’ONU intende assegnare a tutti un punteggio di credito sociale in linea con gli SDG dell’ONU (Agenda 2030)… La vostra ID digitale diventerà il nuovo voi. E dal punto di vista dei governi e delle aziende, la vostra ID digitale sarà più reale della vostra carne… sarà richiesta in varie misure per viaggiare, lavorare, comprare/vendere e votare”.

“Quando dicono inclusivo, in realtà intendono esclusivo, perché il sistema è impostato in modo da escludere le persone che non si allineano alle politiche dei globalisti non eletti”, ha detto Hinchliffe. “Quello che vogliono veramente è che tutti siano sotto il loro controllo digitale”.

In particolare, un rapporto del WEF del giugno 2023 intitolato “Reimagining Digital ID” [Ripensando l’identità digitale] ammette che “l’ID digitale potrebbe indebolire la democrazia e la società civile” e che i “maggiori rischi derivanti dall’ID digitale sono l’esclusione, l’emarginazione e l’oppressione”.

Rendere obbligatoria la carta d’identità – digitale o meno – può esacerbare “sfide sociali, politiche ed economiche fondamentali, poiché l’accesso condizionato di qualsiasi tipo crea sempre la possibilità di discriminazione ed esclusione”, aggiunge il rapporto.

Gli esperti che hanno parlato con The Defender hanno detto che le persone devono avere la possibilità di scegliere di non partecipare.

“Se l’ONU e i suoi Stati membri promuovono l’agenda dell’ID digitale, devono assicurarsi che le rispettive popolazioni abbiano un modo semplice per scegliere di non partecipare senza essere puniti o vedersi negare i servizi”, ha dichiarato Bronze. “Altrimenti, l’ID digitale diventerà obbligatoria per esistere nella società e assisteremo alla fine della privacy e, a lungo termine, della libertà”, ha affermato Broze.

Jaffe ha dichiarato che, pur non opponendosi ai sistemi di pagamento digitali, “si opporrebbe con veemenza all’eliminazione dei pagamenti non digitali, come la moneta cartacea”, definendo questo un problema di “libertà e privacy”.

Allo stesso modo, Hinchliffe ha dichiarato: “Dovrebbero essere sempre disponibili alternative non digitali e questo dovrebbe essere un diritto di ogni cittadino. I sistemi possono fallire. I database possono essere violati. I governi possono diventare tirannici. Le aziende possono diventare avide”.

“Il gioco finale è la sovranità dei transumanisti”

Molte delle iniziative che sostengono “50 in 5” sono a loro volta interconnesse, oltre a essere collegate a enti come la Fondazione Gates.

Ad esempio, l’Omidyar Network, uno dei sostenitori di “50 in 5”, ha finanziato la MOSIP, così come la Fondazione Gates.

La Fondazione Gates, la Fondazione Rockefeller, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo e l’UNICEF partecipano alla “roadmap” della Digital Public Good Alliance costituita da enti che “rafforzano l’ecosistema DPG [beni pubblici digitali]”.

All’inizio di quest’anno, Co-Develop ha investito nella creazione del Center for Digital Public Infrastructure, che ha sede presso l’International Institute of Information Technology di Bangalore ed è anche la sede della MOSIP. Co-Develop è stata co-fondata dalla Fondazione Rockefeller, insieme alla Fondazione Gates e alla Omidyar Network.

Tra le “organizzazioni sostenitrici” del rapporto della Banca Mondiale sui “Principi di identificazione per lo sviluppo sostenibile” figurano la Fondazione Gates, l’Omidyar Network, l’UNDP, Mastercard, ID2020 e il Tony Blair Institute for Global Change [Istituto Tony Blair per il cambiamento globale].

Glaser ha detto che Gates ha raggiunto la ricchezza “imponendo il monopolio del suo sistema operativo in tutte le case e le aziende del mondo” e “sta facendo lo stesso ora a livello di Nazioni Unite con i vaccini e le applicazioni DPI”.

“Le piattaforme DPI essenzialmente esternalizzano la sovranità a organismi di governo internazionali che seguono gli ordini di entità finanziarie come Vanguard, BlackRock e State Street”, ha affermato.

“Le aziende che dispongono di così tante informazioni sui cittadini hanno un enorme potere di sabotare le infrastrutture [con] pochissimi principi etici a trattenerli”, ha affermato Mohamed.

“Il gioco finale è la sovranità dei transumanisti”, ha aggiunto Glaser. “Il motivo per cui l’ID digitale è una minaccia esistenziale per la società è perché separa le persone dai loro governi locali, che hanno sempre lavorato in modo cooperativo per prevenire la tirannia”.

“La DPI viene venduta alle autorità con la motivazione che le includerà nell’economia mondiale, mentre in realtà mercificherà i loro cittadini e toglierà alle autorità locali la possibilità di governare in modo significativo”, ha affermato.

Hinchliffe ha anche collegato la DPI a politiche che pretendono di combattere il cambiamento climatico.

“Con le nazioni del G20 che si impegnano a raggiungere il net-zero per livello di emissioni entro il 2050 circa… saranno imposte restrizioni su ciò che possiamo consumare, su ciò che possiamo acquistare e su dove possiamo andare grazie all’implementazione diffusa dell’ID digitale e delle CBDC per tracciare, rintracciare e controllare ogni nostro movimento in… città intelligenti di 15 minuti”, ha affermato.

“Parlano apertamente di utilizzare la DPI per i ‘certificati di salute digitali’… e credo che il prossimo passo sarà il tracciamento dell’impronta di carbonio per monitorare e controllare come si viaggia e cosa si consuma”, ha aggiunto Hinchliffe, definendolo “un futuro di sorveglianza e controllo costanti”.

“Se possiamo legiferare e fare causa per mantenere il diritto all’identificazione tradizionale, allora questo protegge categoricamente tutti i nostri diritti”, ha aggiunto Glaser. “Finché le classi di consumatori di grandi nazioni come gli Stati Uniti resisteranno all’ID digitale, c’è speranza”.

“Questi programmi fanno poco o nulla per la prosperità della maggioranza degli africani, ma piuttosto favoriscono gli interessi di una piccola classe economica e politica”, ha affermato Mohamed. “Con il crescere della disparità economica e della rabbia, il tentativo di sprecare altre risorse africane per l’ID digitale potrebbe portare a una rivolta diffusa”.

“In generale, una volta che gli africani sanno di cosa si occupa Bill Gates, si rifiuteranno di essere coinvolti o di sostenere le sue attività”, ha aggiunto.

Guardate questo segmento di Kitco News sulla campagna “50 in 5”:

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