Un nuovo studio suggerisce che i destinatari del vaccino anti COVID-19 Moderna potrebbero avere maggiori probabilità di soffrire di infezioni ripetute, forse per sempre.

Lo studio, ancora in preprint, ha trovato che i partecipanti alla sperimentazione di Moderna su adulti cui è stato somministrato il vaccino, e che poi sono stati esposti al virus, non sviluppavano anticorpi a un componente chiave del virus così spesso quanto i partecipanti del gruppo placebo.

I risultati degli autori, che sono corroborati dai dati del Regno Unito che dimostrano che i tassi di infezione sono significativamente più alti nei vaccinati, suggeriscono che Moderna sapeva di questo segnale di sicurezza nel 2020 quando il produttore del vaccino stava conducendo le sue sperimentazioni.

Gli autori di “Anticorpi anti-nucleocapside dopo l’infezione da SARS-CoV-2 nella fase in cieco dello studio clinico di efficacia del vaccino mRNA-1273 anti Covid-19” hanno scritto:

“Tra i partecipanti con malattia Covid-19 confermata da test PCR, la sieroconversione in anticorpi anti-N ad un follow up mediano di 53 giorni dopo la diagnosi si è verificata in 21/52 (40%) dei destinatari del vaccino mRNA-1273 contro 605/648 (93%) dei destinatari del placebo (p < 0.001).”

I partecipanti vaccinati nella sperimentazione che hanno sviluppato la COVID-19 breakthrough (quando ci si infetta nonostante un’immunità data dal vaccino o da infezione precedente NdT) – cioè sono risultati positivi a un test PCR – hanno montato una risposta anticorpale alla porzione di nucleocapside del virus SARS-CoV-2 meno spesso rispetto ai destinatari del placebo anch’essi risultati positivi al virus.

Qui ci vuole una breve spiegazione: quante porzioni del virus ci sono? Se sono solo poche, quali sono le altre?

La differenza era statisticamente significativa, portando gli autori a concludere:

“Si dovrebbe prendere in considerazione lo stato di vaccinazione quando si interpretano i dati di sieroprevalenza e sieropositività basati solo sul test anticorpale anti-N.

“Come marker di infezione recente, gli anticorpi anti-N possono avere una sensibilità inferiore nelle persone vaccinate con mRNA-1273 che si infettano”.

In altre parole, gli autori hanno scoperto che usando la presenza di anticorpi anti-nucleocapside (anti-N) per determinare se una persona è stata esposta alla SARS-CoV-2 alcune infezioni non saranno rilevate. Così, la sensibilità di questo tipo di test, quando applicato a individui vaccinati, non è ideale.

Tuttavia, questi risultati hanno implicazioni più importanti, come Igor Chudov e altri hanno riconosciuto rapidamente.

In particolare, lo studio implica che la ridotta capacità di un individuo vaccinato di produrre anticorpi contro altre porzioni del virus può portare a un maggiore rischio di infezioni future nel vaccinato rispetto al non vaccinato.

È importante notare che questo non è solo un altro argomento a favore della superiorità dell’immunità naturale.

Piuttosto, questa è una prova che suggerisce che anche dopo che una persona vaccinata ha un’infezione breakthrough, quell’individuo ancora non acquisisce lo stesso livello di protezione contro le esposizioni successive acquisite da una persona non vaccinata.

Questa è una scoperta preoccupante, e qualcosa che gli investigatori che conducevano la sperimentazione del vaccino Moderna probabilmente sapevano nel 2020.

Stabiliamo alcuni fatti di fondo:
  • Gli anticorpi anti-nucleocapside sono anticorpi specifici per la porzione di nucleocapside del virus SARS-CoV-2, il virus responsabile della COVID-19.
  • Un metodo per determinare se un individuo è stato esposto al virus (recentemente o in passato) è quello di rilevare gli anticorpi specifici per il virus nel siero della persona.
  • Poiché coloro che sono stati vaccinati avranno, apparentemente, anticorpi anti-proteina spike, usare i livelli di anti-spike per diagnosticare un’infezione precedente o recente è impossibile in queste persone.
    Tuttavia la presenza di anticorpi anti-nucleocapside dopo l’esposizione dovrebbe, in teoria, non essere influenzata dallo stato di vaccinazione.
  • Anche se la presenza di un anticorpo anti-N non è necessariamente indicativa di immunità, avere un ampio insieme di anticorpi contro diversi componenti del virus offre una protezione più robusta che avere anticorpi contro un singolo componente, quale la proteina spike.
    Questa è una delle ragioni per cui l’immunità naturale è superiore all’immunità mediata dal vaccino mRNA.
  • L’articolo non offre nuove scoperte. Presenta invece un’analisi di ciò che avrebbe dovuto essere già noto dalla sperimentazione del vaccino Moderna.
Le infezioni breakthrough portano alla produzione di N-anticorpi meno spesso che nell’infezione primaria

Moderna ha arruolato più di 30.000 soggetti nel suo studio, randomizzandoli allo stesso modo nei gruppi vaccino o placebo.

Alla fine del periodo di osservazione iniziale, i destinatari del placebo hanno contratto la COVID-19 13 volte di più, permettendo agli investigatori di vantare un’efficacia del vaccino (VE) del 93,2%.

La Food and Drug Administration (FDA, Agenzia per gli alimenti e i farmaci) degli Stati Uniti ha successivamente autorizzato il vaccino per uso di emergenza. Il resto è storia.

Questo recente studio ha esaminato la presenza o l’assenza di anticorpi anti-nucleocapside in tutti i partecipanti alla sperimentazione che hanno contratto la COVID-19 sulla base di un test PCR positivo durante il periodo della sperimentazione.

Come detto in precedenza, i destinatari del placebo hanno prodotto anticorpi anti-N più del doppio delle volte rispetto alle loro controparti vaccinate. (Chudov offre una buona spiegazione dell’importanza degli anticorpi anti-N qui).

Questa è una scoperta sconcertante. Perché la vaccinazione dovrebbe sopprimere la capacità di una persona di produrre anticorpi contro diverse parti del virus quando, in seguito, è esposta all’intero virus?

Una possibilità è che se il vaccino è protettivo, le cariche virali saranno più basse, portando a meno sieroconversioni.

Tuttavia, questo studio ha anche scoperto che a qualsiasi carica virale data, i non vaccinati hanno prodotto una risposta anti-N maggiore rispetto ai vaccinati:

risposta anti-N nei non vaccinati

Il grafico a sinistra (A) mostra il numero di destinatari del placebo e del vaccino con sieroconversione a seguito dell’esposizione alla SARS-Co-V2 a vari livelli di copie virali. Possiamo vedere che, indipendentemente dallo stato di vaccinazione, un numero di copie virali più basso provoca meno sieroconversioni rispetto a un numero di copie virali più alto.

Ma c’è una differenza significativa tra i destinatari del vaccino e quelli del placebo.

Questo è dimostrato nel grafico B, che mostra che per ogni dato numero di copie virali, i destinatari del placebo avevano una probabilità significativamente maggiore di sieroconvertire. La differenza è più prominente a numeri di copie virali più bassi.

Questa non è una scoperta spuria. L’Agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito pubblica dati di sorveglianza settimanali e monitora i livelli di anticorpi anti-N nei donatori di sangue.

Ha notato i livelli più bassi di questi anticorpi negli individui vaccinati che hanno avuto infezioni breakthrough. Tuttavia, ha attribuito questo livello inferiore al beneficio protettivo del vaccino.

Secondo un rapporto del 22 marzo dell’agenzia britannica:

“Queste risposte anti N più basse negli individui con infezioni breakthrough (post-vaccinazione) rispetto alle infezioni primarie riflettono probabilmente infezioni più brevi e più miti in questi pazienti”.

Anche se la vaccinazione può per un certo periodo diminuire la gravità della malattia, le infezioni “più brevi e più lievi” (meno gravi) sono associate a una carica virale inferiore.

Come dimostrano i dati di cui sopra, i vaccinati hanno un tasso di conversione degli anticorpi anti-N più basso rispetto ai non vaccinati a tutti i livelli di carica virale.

Questo è uno dei risultati più significativi dello studio perché ribalta l’idea finora incontestata che la diminuzione della sieroconversione nei vaccinati sia dovuta a un’infezione meno grave in questa popolazione – che è un beneficio fornito dal vaccino.

Tuttavia, questo nuovo studio mostra che anche a basse cariche virali, i non vaccinati hanno più probabilità di sieroconvertire rispetto ai vaccinati.

Infatti, la differenza nei tassi di sieroconversione è la più grande ai carichi virali più bassi.

La diminuzione dei tassi di conversione non è il risultato di un beneficio del vaccino. Ne è una conseguenza.

Una volta vaccinati, non si può tornare indietro

Gli autori hanno anche rivelato un’altra importante scoperta: I partecipanti allo studio Moderna che erano PCR-positivi e sieronegativi al basale, prima dell’inoculazione del vaccino o del placebo, alla fine hanno sieroconvertito allo stesso modo – indipendentemente dal fatto che avessero ricevuto il vaccino o il placebo.

Questo era anche vero nei partecipanti che avevano ricevuto una sola dose.

Questo significa che lo stato di vaccinazione al momento dell’esposizione è predittivo del tasso di sieroconversione in futuro, e l’effetto è dose-dipendente.

Se la sieroconversione risulti o meno in un’immunità più robusta è ancora da determinare. Tuttavia, i dati del Regno Unito e di altri paesi suggeriscono che i tassi di conversione più bassi possono spiegare perché i tassi di infezione sono più alti nella loro popolazione vaccinata. Questi dati sono presentati di seguito.

I ripetuti attacchi di COVID-19 porteranno alla fine alla sieroconversione nei vaccinati? Lo studio non ha potuto rispondere a questa domanda.

Ancora più importante, come influirà il regolare aumento del tasso di sieroconversione con il passare del tempo? Questa è un’altra importante domanda che deve ancora trovare una risposta.

Non c’è dubbio che l’immunità mediata dal vaccino contro la COVID-19 diminuisce e sta diminuendo più velocemente col passare del tempo. I Centers for Disease Control and Prevention (CDC) raccomandano un primo richiamo dopo cinque mesi e un secondo dopo soli quattro.

I dati israeliani sull’efficacia di un secondo richiamo hanno dimostrato che l’efficacia nel prevenire la “malattia grave” (non l’ospedalizzazione) è scesa a poco più del 50% entro sette settimane.

Se viene offerto un terzo richiamo, sarà probabilmente raccomandato prima di quattro mesi dopo il secondo, sulla base di questi dati deludenti.

Ci sono altri dati deludenti che vengono dal Regno Unito. Nel suo ultimo rapporto settimanale di sorveglianza, che include i tassi di casi tra i cittadini non vaccinati e quelli potenziati, l’Agenzia per la sicurezza sanitaria ha offerto questa tabella inquietante:

tassi covid non aggiustati

Le prime due colonne dimostrano che il tasso di casi di COVID-19 nei vaccinati con booster (o richiamo) era da tre a quattro volte superiore a quello dei non vaccinati in tutte le età tranne che per i minori di 18 anni.

L’agenzia ci avverte di interpretare questi numeri con cautela. Le persone vaccinate possono dimostrare un comportamento meno cauto rispetto ai non vaccinati. E non c’è nemmeno una stratificazione del rischio basata sulle comorbilità.

Tuttavia, il grafico tiene conto del fattore più importante: l’età.

Allora cosa potrebbe spiegare un così grande aumento dei tassi di infezione tra i vaccinati con booster?

È interessante notare che gli autori avvertono anche che i non vaccinati possono aver contratto la COVID-19 prima del periodo di osservazione – in altre parole, possono aver acquisito l’immunità naturale in precedenza, dando loro una protezione aggiuntiva.

Ma questo non dovrebbe valere anche per i vaccinati con booster? Dovrebbe, ma gli autori non lo menzionano.

Poiché non è menzionato, possiamo tranquillamente dire che gli autori presumono che i non vaccinati abbiano avuto con più probabilità un’infezione precedente rispetto ai vaccinati con booster. Così, ci saranno più persone nel pool dei non vaccinati che godono del vantaggio dell’immunità naturale.

Ma i loro stessi dati raccontano la storia opposta. I vaccinati con booster hanno più probabilità di contrarre la malattia – per un fattore da 3 a 4. Come facciamo a sapere se i tassi di infezione più alti nei vaccinati con booster sono dovuti a un’immunità più robusta nei non vaccinati a causa di un’infezione precedente o a una carenza immunitaria nei vaccinati con booster?

Alla domanda si può rispondere definitivamente esaminando la tendenza dei tassi di infezione. Ecco la tabella equivalente di due mesi prima:

tendenze nelle infezioni covid

C’è ancora un tasso di infezione maggiore tra i vaccinati con booster, ma è solo 2-3 volte più alto. Se l’ipotesi degli autori fosse stata corretta, i dati più recenti avrebbero dovuto mostrare una differenza minore, non maggiore.

La crescente diffusione tra i vaccinati e i non vaccinati è una tendenza in atto da mesi. I lettori curiosi possono esaminare i dati da soli qui.

Semmai, i loro dati supportano la scoperta che i tassi di sieroconversione diminuiti nei vaccinati possono causare un maggior rischio di infezioni ripetute.

Tuttavia, senza sapere quante delle infezioni nel vaccinati con booster siano secondi o terzi attacchi di COVID-19, possiamo solo speculare.

I dati del Regno Unito non sono anomali. Gli ultimi dati di Walgreens dimostrano ulteriormente che i vaccinati con booster si stanno infettando ad un tasso quasi doppio rispetto ai non vaccinati.

Purtroppo, i dati Walgreens non specificano anche quante di queste infezioni siano reinfezioni.

Quante persone sono già state esposte o infettate?

Il CDC il 29 aprile ha pubblicato il suo ultimo Morbidity and Mortality Weekly Report (Rapporto settimanale sulla morbilità e mortalità – MMWR) intitolato “Sieroprevalenza di anticorpi indotti dall’infezione da SARS-CoV-2 – Stati Uniti, settembre 2021-febbraio 2022”.

Nel suo rapporto, il CDC stima la percentuale della popolazione che è stata precedentemente infettata dalla SARS-CoV-2. L’agenzia è arrivata a questa stima attraverso uno studio di sieroprevalenza che cercava gli anticorpi anti-N nel siero raccolto in più di 45.000 persone di 52 diverse giurisdizioni.

In base alla percentuale di anticorpi anti-N nei campioni di siero, si stima che il 57,7% della popolazione statunitense sia stata esposta alla SARS-CoV-2 fino a febbraio.

Tuttavia, questa stima non considera il fatto che i vaccinati non sieroconvertono allo stesso tasso dei non sono vaccinati.

Questa percentuale è significativamente più alta dei casi di COVID-19 che sono stati riportati fino ad oggi. Al 24 aprile, c’erano circa 70,5 milioni di casi, che corrispondono solo al 21,4% della popolazione (stimata in 330 milioni).

La ragione di questa differenza è che gli studi di sieroprevalenza rilevano tutti i casi e le esposizioni, compresi quelli degli asintomatici. In questo senso, gli studi di sieroprevalenza offriranno una stima più accurata della porzione di popolazione che è stata esposta.

In particolare, la sieroprevalenza variava significativamente tra gruppi di età: il 75,2% dei sieri di bambini da 0 a 11 anni erano positivi agli anticorpi anti-N, rispetto al 33,2% delle persone dai 65 anni in su.

Il CDC non ha riportato la sieroprevalenza per stato di vaccinazione. L’agenzia ha invece riconosciuto che i suoi risultati “potrebbero sottostimare il numero cumulativo di infezioni da SARS-CoV-2 perché le infezioni dopo la vaccinazione potrebbero risultare in titoli anti-N più bassi”.

È interessante notare che gli autori del CDC hanno citato lo stesso studio preprint discusso sopra per spiegare questa possibilità.

Cosa significa questo per i bambini?

Anche se il CDC ha inopportunamente scelto di non riportare i tassi di sieroconversione nei vaccinati rispetto ai non vaccinati, possiamo nondimeno fare alcune stime ragionevoli e importanti a partire da questo rapporto settimanale basandoci sulla nostra recente comprensione dei tassi di sieroconversione nei vaccinati.

Come detto sopra, il CDC ha riferito che i campioni di siero prelevati da bambini di 11 anni e meno sono risultati positivi agli anticorpi anti-N il 75,2% delle volte.

Una domanda centrale è: quale parte dei campioni sieropositivi proveniva dai non vaccinati?

Anche se la FDA non considera la sieropositività un surrogato dell’immunità, sapere se un bambino è stato esposto o meno alla SARS-CoV-2 sarà utile per valutare il rischio rispetto al beneficio della vaccinazione.

La percentuale di vaccinati è solo 28,6% nelle fasce di età da 5 a 11 anni. I bambini sotto i 5 anni non possono essere vaccinati. Se presumiamo che pochi (se non nessuno dei) bambini sotto i 5 anni abbiano ricevuto il vaccino anti COVID-19, ne deduciamo che solo il 16,4% dei bambini sotto i 12 anni è stato vaccinato in base ai dati della popolazione in quella fascia di età.

Se il 16,4% dei bambini sotto i 12 anni è stato vaccinato, i non vaccinati superano i vaccinati di circa 5 a 1. Se i vaccinati sieroconvertono con la stessa frequenza dei non vaccinati, dovremmo aspettarci che un sesto dei sieropositivi provenga dai vaccinati e cinque sesti dai non vaccinati.

Tuttavia, i dati dello studio Moderna dimostrano che i vaccinati sieroconvertono solo il 40% delle volte rispetto al 93% dei non vaccinati. I vaccinati sieroconvertono (40/93) = 0,43 volte più spesso dei non vaccinati.

Possiamo quindi dire che il rapporto tra sieropositivi vaccinati e non vaccinati è di 0,43 a 5, o 1 a 11,63. Questo significa che 1/12,63, o il 7,9% dei risultati sieropositivi provengono da bambini vaccinati.

Il restante 92,1% (11,63/12,63) proviene da bambini non vaccinati.

Quindi, se il 75,2% dei sieri dei bambini risulta positivo agli anticorpi anti-N, il 68,4% (75,2% x 0,921) dei bambini non vaccinati è già sieroconvertito.

Ci sono potenziali errori in questo calcolo:
  • I campioni utilizzati nell’indagine potrebbero non essere rappresentativi della popolazione per quanto riguarda lo stato di vaccinazione.
  • I tassi di sieroconversione tra i vaccinati potrebbero essere più alti di quello che è stato trovato nello studio di Moderna.
  • I tassi di sieroconversione potrebbero essere diversi nelle persone vaccinate con un vaccino diverso da Moderna (Pfizer, in questo caso).
  • I tassi di sieroconversione potrebbero essere diversi nei bambini.

Tuttavia, possiamo dire con ragionevole sicurezza che una parte sostanziale dei bambini non vaccinati è già stata esposta alla SARS-CoV-2.

Con i rischi noti di eventi avversi che ora includono una ridotta capacità di generare anticorpi anti-N dopo l’esposizione, non c’è alcuna giustificazione per richiedere o anche raccomandare il vaccino ai bambini senza prima valutare i loro livelli di anticorpi.

Pur continuando a sostenere che i livelli di anticorpi non sono necessariamente indicativi di immunità, la FDA ha comunque concesso l’autorizzazione all’uso di emergenza (EUA) per il prodotto della Pfizer nei bambini dai 5 agli 11 anni sulla base delle risposte anticorpali dopo la vaccinazione.

Riassunto

Sono passati sedici mesi da quando la FDA ha concesso a Moderna l’EUA per il suo vaccino. Solo negli Stati Uniti sono state somministrate più di 200 milioni di dosi di questo prodotto.

Il produttore del vaccino sapeva nel 2020 che il suo prodotto poteva potenzialmente impedire ai destinatari di montare ampie risposte anticorpali dopo l’esposizione alla SARS-CoV-2?

Questo potenziale effetto avverso si verifica in altri “vaccini” mRNA anti COVID-19?

Gli individui vaccinati sono a maggior rischio di contrarre la COVID-19 rispetto ai non vaccinati.

Ma cosa succede dopo un’infezione breakthrough? Questi prodotti hanno attenuato in modo permanente la nostra capacità di combattere future infezioni da SARS-CoV-2?

Dato che la maggior parte dei bambini è già stata esposta, c’è qualche motivo per inoculare anche un solo bambino sano prima che queste domande abbiano una risposta definitiva?

Eppure il produttore del vaccino sta spingendo la FDA ad autorizzare il suo prodotto per i bambini sotto i 6 anni.

Se queste inoculazioni impediscono alle persone di acquisire un’immunità adeguata dopo l’esposizione, stanno, di fatto, creando una pandemia dei vaccinati.

Meno di 10 mesi fa, il direttore del CDC, Dr. Rochelle Walensky, ha avvertito: “C’è un chiaro messaggio che sta arrivando. Questa sta diventando una pandemia dei non vaccinati”.

Cos’è più ironico? La sua dichiarazione? O che la dichiarazione venga da un’organizzazione chiamata Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie?