La piattaforma di condivisione di video Rumble, uno studioso di diritto costituzionale e altri hanno citato in giudizio lo stato di New York per la nuova “Legge sull’odio online”, sostenendo che la formulazione della legge è così ampia da poter mettere i blogger a rischio di rovina finanziaria solo per aver condiviso opinioni disapprovate dallo Stato.

L’organizzazione non profit Foundation for Individual Rights and Expression (Fondazione per i diritti individuali e l’espressione, FIRE) la scorsa settimana ha intentato la causa presso la Corte distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto Sud di New York per conto di tre querelanti: la piattaforma di condivisione video online Rumble, la sua piattaforma di abbonamento “Locals” e il giurista specializzato nel Primo Emendamento Eugene Volokh, editore del blog “La Cospirazione Volokh“.

L’azione legale vede come unico imputato il procuratore generale dello Stato di New York Letitia James.

Secondo i querelanti, la legislazione – entrata in vigore il 3 dicembre – obbligherà le piattaforme online a prendere di mira e censurare dei discorsi protetti dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti.

In un comunicato, FIRE ha dichiarato: “La legge è intitolata “Reti di social media; proibizione dei comportamenti di odio”, ma in realtà prende di mira i discorsi che non piacciono allo stato, anche se tali discorsi sono pienamente protetti dal Primo Emendamento”.

Secondo la legge, le piattaforme online sono tenute a “fornire e mantenere meccanismi per la segnalazione di comportamenti di odio sulla loro piattaforma” e sono soggette a multe fino a 1.000 dollari al giorno in caso di disobbedienza.

I querelanti chiedono alla corte di dichiarare che la nuova legislazione viola il Primo e il Quattordicesimo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che proteggono rispettivamente la libertà di parola e il giusto processo.

Chiedono inoltre un’ingiunzione permanente contro l’applicazione della legge, una dichiarazione che la nuova legge viola la Sezione 230 del Communications Decency Act (Legge sulla decenza nelle comunicazioni) e le spese legali.

Secondo la causa, i querelanti:

“Cercano di promuovere un dibattito libero e aperto sulle loro piattaforme perché credono nel libero scambio delle idee”. Pubblicano tutti i tipi di discorso e non credono che il discorso oggetto della legge sui discorsi d’odio online debba essere limitato, proibito o rimosso come risultato di un’ordinanza governativa.

“Non vogliono ripetere a pappagallo il messaggio dello stato o essere obbligati a rispondere a ogni denuncia di presunto ‘discorso d’odio'”.

Tuttavia, è anche possibile che, nel tentativo di conformarsi potenzialmente alle disposizioni della nuova legge di New York, le piattaforme di social media apportino modifiche fondamentali alle loro piattaforme e alle loro politiche che interesseranno gli utenti ovunque, e non solo nello stato in cui la legislazione è in vigore.

Un’altra possibilità è che alcuni siti web inizino a scegliere di delimitare o bloccare geograficamente i servizi (“geofence” o “geoblock” in inglese), una pratica in base alla quale gli indirizzi IP (Internet Protocol) di particolari regioni geografiche, come stati o paesi, vengono bloccati da un sito web o da un fornitore di servizi online.

Si tratta, ad esempio, di una pratica sempre più comune in molti servizi online ufficiali degli Stati Uniti – una pratica da parte dei governi statali che sembra essere sfuggita a una maggiore attenzione, sebbene sia comune in alcuni settori.

Il Dr. Alex Pattakos, cofondatore del Global Meaning Institute e scrittore collaboratore di Psychology Today, è stato bandito in modo permanente dalla piattaforma di social media LinkedIn, di proprietà di Microsoft.

Pattakos ha spiegato a The Defender perché è preoccupato dalla censura e dalla sua potenziale espansione:

“La mia recente esperienza con le piattaforme di social media ‘legacy’ è stata senza precedenti. A questo proposito, in numerose occasioni i miei post sono stati considerati “disinformazione” e censurati dai moderatori online e dai cosiddetti “fact-checker” (verificatori di fatti).

“Di recente, sono stato sospeso in modo permanente da LinkedIn per aver condiviso informazioni e prove empiriche che mettevano in discussione la narrazione ‘ufficiale’ su un argomento di grande interesse. È stato scoraggiante che un moderatore sconosciuto, ma ovviamente di parte, abbia limitato la mia libertà di espressione in questo modo”.

Per Pattakos, la censura dei contenuti sulle piattaforme di social media, sia da parte delle piattaforme stesse sia da parte del governo, rappresenta “un attacco diretto” alla democrazia e alla libertà, anziché proteggere questi ideali.

“Come esperto in materia di scienze politiche, filosofia esistenziale e psicologia umanistica, nonché come persona che si è sempre attenuta al metodo scientifico e al dialogo autentico, non posso non considerare questo trattamento come un attacco personale”, ha detto Pattakos. “Tuttavia, cosa ancora più importante, si tratta di un attacco diretto ai principi democratici e alla libertà umana”.

La legge impone alle piattaforme di rispondere ai contenuti “di odio”, ma non li definisce

Secondo Reclaim The Net, la nuova legge di New York richiederà alle piattaforme online di sviluppare politiche che spieghino come risponderanno ai contenuti generati dagli utenti che “diffamano, umiliano o incitano alla violenza”, sulla base di classi protette come il genere, la razza o la religione.

Le piattaforme saranno inoltre obbligate a creare meccanismi attraverso i quali gli utenti e i visitatori potranno presentare reclami su “contenuti che incitano all’odio”, imponendo loro di rispondere direttamente a tali reclami o di affrontare potenziali indagini, citazioni in giudizio e multe imposte direttamente dall’ufficio del procuratore generale.

La legge è stata approvata a giugno ed è stata firmata dal governatore Kathy Hochul, membro del partito democratico, che nel frattempo è stata eletta per un mandato completo.

Secondo Law and Crime, la legislazione è stata proposta per la prima volta all’indomani di una sparatoria di massa in un negozio di alimentari di Buffalo. In ottobre, James e Hochul hanno pubblicato un rapporto che “descrive nei dettagli la radicalizzazione del[la] persona che ha sparato su siti web marginali”, come 4chan, e il suo “uso delle piattaforme principali per trasmettere la violenza dal vivo”.

Lo stesso mese, James ha dichiarato che le piattaforme online dovrebbero essere ritenute responsabili per “comportamenti odiosi” derivanti dalla “mancanza di supervisione, trasparenza e responsabilità di queste piattaforme” che permettono “la proliferazione di opinioni odiose ed estremiste online”.

Riferendosi al rapporto, James ha detto che esso rappresenta “un’ulteriore prova che la radicalizzazione e l’estremismo online costituiscono una seria minaccia per le nostre comunità, specialmente quelle di colore”.

“Non possiamo aspettare un’altra tragedia prima di agire”, ha aggiunto. “Dobbiamo lavorare tutti insieme per affrontare questa crisi e proteggere i nostri bambini e le nostre comunità”.

Tuttavia, Reclaim The Net sostiene che la formulazione della nuova legge è vaga, in quanto non fornisce una definizione di termini come “contenuto di odio”, “umiliare”, “incitare” o “denigrare”.

In una dichiarazione, Rumble ha affermato che questo linguaggio vago e generico “coprirebbe il discorso costituzionalmente protetto come le battute comiche, la satira, i dibattiti politici e altri commenti online”.

Secondo la causa, la legge:

“Pende come la spada di Damocle su un’ampia fascia di servizi online (come siti web e app), minacciando di abbattersi su di loro se non affrontano adeguatamente il discorso che esprime determinati punti di vista malvisti dallo Stato, come ora lo Stato impone loro di fare”.

L’azione legale descrive inoltre la legge come un “doppio attacco al Primo Emendamento” che mette le piattaforme a rischio di essere multate nonostante il linguaggio vago della legge:

In una sorta di “doppio attacco” al Primo Emendamento, la legge sui discorsi d’odio on line ostacola la pubblicazione di discorsi malvisti ma protetti tramite un discorso spinto in modo incostituzionale, costringendo i servizi online a individuare i “discorsi d’odio” con una politica dedicata, un meccanismo obbligatorio di segnalazione e risposta, e risposte dirette obbligatorie a ogni segnalazione.

“Se un servizio si rifiuta, la legge minaccia indagini da parte del Procuratore Generale di New York, citazioni in giudizio e multe di 1.000 dollari al giorno per ogni violazione”.

FIRE ha descritto la legge come “del tutto soggettiva”, con la possibilità di colpire qualsiasi cosa, da “un post sul blog di un comico” alla maggior parte dei commenti pubblicati dagli utenti online, “che potrebbero essere considerati da qualcuno, da qualche parte, in qualche momento, come ‘umilianti’ o ‘denigratori’ nei confronti di un gruppo basato sullo status di classe protetta come la religione, il genere o la razza”.

In un post del 1° dicembre sul suo blog, Volokh ha scritto:

“I politici dello stato di New York mi appiccicano sul petto un distintivo della polizia del linguaggio perché gestisco un blog.

“Ho dato vita al blog per condividere storie legali interessanti e importanti, non per sorvegliare il linguaggio dei lettori su ordine del governo”.

Chris Pavlovski, CEO e presidente di Rumble, ha dichiarato:

“La legge dello stato di New York aprirebbe la strada alla soppressione di discorsi protetti sulla base delle lamentele di attivisti e bulli.

“Rumble celebrerà sempre la libertà e sosterrà l’indipendenza creativa, quindi sono lieto di collaborare con FIRE per contribuire a proteggere l’espressione online lecita”.

I siti di social media sono “editori” o “piattaforme”?

Nel contestare la nuova legislazione, i querelanti hanno fatto riferimento al rapporto del procuratore generale di New York che chiede di limitare la sezione 230 del Communications Decency Act, che protegge le piattaforme di social media dalla responsabilità per i contenuti di terzi pubblicati dai loro utenti.

I siti di social media utilizzano la Sezione 230 per sostenere di non essere “editori” di contenuti, il che implicherebbe alcuni obblighi legali che li priverebbero dell’immunità conferita loro in quanto “piattaforme”. Questo nonostante il fatto che tali piattaforme siano tipicamente impegnate nella moderazione dei contenuti pubblicati sulle loro piattaforme.

Mentre alcuni hanno chiesto l’abrogazione delle protezioni della Sezione 230 per le piattaforme di social media in risposta a numerosi presunti casi di censura, i querelanti nella causa contro il procuratore generale di New York sostengono la necessità di proteggere le “piattaforme” e di contrastare la richiesta di James di diluirle in nome della lotta contro il presunto “discorso d’odio”.

Secondo Law and Crime, la Sezione 230 “oggi ha pochissimi amici al di fuori della Silicon Valley e degli attivisti della libertà di parola”.

Tuttavia, i legislatori democratici dello Stato di New York sostengono che la nuova legge aumenterà la sicurezza sulle piattaforme online.

Per esempio, la senatrice Anna Kaplan, che ha sponsorizzato il disegno di legge, ha dichiarato nel 2021: “I newyorkesi conoscono l’espressione ‘se vedi qualcosa, di’ qualcosa’, ma purtroppo molte piattaforme di social media rendono impossibile parlare quando si vede qualcosa di pericoloso o dannoso online”.

Sforzi più ampi per limitare la “disinformazione” online nello stato di New York e in tutto il mondo

La legge dello stato di New York sui discorsi d’odio online è solo uno dei numerosi tentativi recenti da parte dello stato di sorvegliare i social media, secondo Reclaim The Net, che ha citato progetti di legge che propongono un divieto di condivisione online di video che ritraggono crimini violenti e una proposta che consentirebbe allo stato di citare in giudizio le piattaforme se queste “contribuiscono” alla “consapevole o sconsiderata” diffusione di “disinformazione” online..

Nell’ottobre del 2022 un giudice federale ha cancellato le disposizioni di una nuova legge di New York che avrebbe imposto ai richiedenti di licenze di porto d’armi di fornire informazioni sui loro account di social media.

A livello federale, l’amministrazione Biden sta affrontando una causa, intentata dai procuratori generali della Louisiana e del Missouri, che denuncia diverse violazioni del Primo Emendamento da parte del governo degli Stati Uniti, tra cui il fatto che le agenzie federali abbiano costretto le piattaforme di social media a censurare coloro che criticavano le politiche COVID-19 del governo.

Nel febbraio 2022, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha introdotto il Digital Services Oversight and Safety Act (Legge sul controllo e la sicurezza dei servizi digitali, HR 6796) “per prevedere l’istituzione del Bureau of Digital Services Oversight and Safety all’interno della Federal Trade Commission e per altri scopi”.

Il disegno di legge è ancora in fase di stallo nella sottocommissione della Camera per la protezione dei consumatori e il commercio.

Politiche e legislazioni simili vengono portate avanti anche al di fuori degli Stati Uniti.

Nel Regno Unito è stato reintrodotto in Parlamento l’Online Safety Bill, mentre l’Office of Communications (Ofcom) ha nominato un ex dirigente di Google, Gill Whitehead, come responsabile della “sicurezza online” a partire dall’aprile 2023. Altri dirigenti dell’Ofcom hanno lavorato in precedenza per Amazon e Meta, ha riferito Reclaim The Net.

La proposta di legge “autorizzerà Ofcom a imporre multe enormi contro le aziende Big Tech che non riescono ad applicare in modo coerente le regole di censura contenute nei loro termini di servizio”.

Tra le disposizioni della proposta di legge c’è la criminalizzazione delle “false comunicazioni”, definite come l’invio di “informazioni che la persona [il mittente] sa essere false”, con l’intento di causare “danni psicologici” a un “probabile pubblico” senza “una ragionevole giustificazione”. Le pene previste dalla legislazione includono fino a 51 settimane di carcere.

Il disegno di legge sulla sicurezza online non definisce chiaramente i termini “falso”, “sapere”, “intenzione”, “danni psicologici”, “probabile pubblico” o “ragionevole giustificazione”.

La proposta di legge prevede inoltre che l’Ofcom istituisca un “comitato consultivo sulla disinformazione”. Il testo prevede anche generose eccezioni per i “grandi media” e gli “editori di notizie riconosciuti”, che sarebbero immuni dal reato di “false comunicazioni” che, per gli altri, sarebbe considerato un atto criminale.

Come riportato in precedenza da The Defender, anche l’UE ha approvato una legislazione simile – il Digital Services Act (DSA, Normativa sui servizi digitali) – applicabile ai suoi 27 Stati membri. Il DSA ha lo scopo di contrastare la diffusione di “disinformazione e contenuti illegali” e si applicherà “a tutti gli intermediari online che forniscono servizi nella UE,” in proporzione alla “natura dei servizi in oggetto” e al numero di utenti di ogni piattaforma.

Secondo il DSA, le “piattaforme online molto grandi” e i “motori di ricerca online molto grandi” – quelli con più di 45 milioni di utenti attivi mensili nell’UE – saranno soggetti ai requisiti più severi del DSA.

Le grandi aziende tecnologiche saranno obbligate ad eseguire valutazioni annuali del rischio per verificare in che misura le loro piattaforme “contribuiscano alla diffusione di materiale divisivo che può influire su questioni come la salute”, e audit indipendenti per determinare le misure che le aziende stanno adottando per evitare “l’abuso” delle loro piattaforme.

Queste misure fanno parte di un più ampio giro di vite sulla “diffusione della disinformazione” richiesto dal DSA, che impone alle piattaforme di “segnalare i discorsi di odio, eliminare qualsiasi tipo di propaganda terroristica” e implementare “strutture per eliminare rapidamente i contenuti illeciti“.

Per quanto riguarda la presunta “disinformazione”, queste piattaforme avranno l’obbligo di creare un “meccanismo di risposta alle crisi” per combattere la diffusione di tali contenuti; il DSA cita specificamente il conflitto tra Russia e Ucraina e la “manipolazione” dei contenuti online che ne è derivata.

Anche il Dipartimento di Stato americano è coinvolto negli sforzi per combattere la “disinformazione” (sia misinformation che disinformation, in inglese) in altri Paesi, attraverso la “Dichiarazione per il futuro di Internet“, redatta il 28 aprile e firmata da 56 Paesi ed entità, tra cui gli Stati Uniti e l’Unione Europea.

Pur non essendo giuridicamente vincolante, la dichiarazione stabilisce “un impegno politico a promuovere regole per Internet che siano sostenute da valori democratici”.

Ciò che è meno chiaro è come la dichiarazione, e altre leggi simili, definiscano i “valori democratici”, anche se diversi indizi possono essere trovati nelle recenti dichiarazioni fatte da attori globali come il World Economic Forum (WEF) e da dirigenti di aziende di social media.

Ad esempio, un recente articolo del WEF su come si possa governare il “metaverso” fa riferimento ai “modelli di governance del mondo reale” come possibile opzione. I modelli del “mondo reale” a cui si fa riferimento, tuttavia, includono l'”Oversight Board” (o Consiglio di supervisione) di Facebook.

L’Oversight Board si descrive come “la più grande rete globale di fact-checking (verifica dei fatti) di qualsiasi piattaforma”, elogiando se stesso per aver “apposto avvertimenti su oltre 200 milioni di contenuti distinti su Facebook (incluse le ricondivisioni) a livello globale, sulla base di oltre 130.000 articoli di debunking scritti dai nostri partner di fact-checking”, e questo solo nel secondo trimestre del 2022.

L’Oversight Board ha anche lanciato un programma pilota che, a suo dire, “mira a mostrare alle persone informazioni più affidabili e a renderle capaci di decidere cosa leggere, di chi fidarsi e cosa condividere”. Il modo in cui viene determinato il termine “affidabile” non è specificato.

Attualmente, il Consiglio di supervisione sta valutando anche la possibilità di raccomandare “opzioni di applicazione alternative” alla rimozione della “disinformazione dannosa per la salute” relativa alla COVID-19 e altre questioni, dove invece di rimuovere completamente tali contenuti dalle piattaforme di Meta, essi possono essere “etichettati”, “verificati” da terzi o la loro distribuzione può essere “ridotta” – una pratica comunemente nota come shadowbanning.

L’Oversight Board ha ricevuto da Meta un “impegno triennale di 150 milioni di dollari” per finanziare queste e altre iniziative.

Anche i social media e i rappresentanti di Big Tech e Big Media hanno recentemente espresso opinioni sulla “democrazia” nel regno digitale. Ad esempio, parlando al Forum della democrazia di Atene a settembre, Nanna-Louise Linde, vicepresidente degli Affari governativi europei di Microsoft, ha affermato: “Dovremmo assicurarci di fare pulizia dei nostri problemi nel vecchio Internet prima di trasferirli anche nel metaverso: privacy, disinformazione”.

Donald Martin, consulente per i media ed ex redattore del quotidiano scozzese The Herald, ha affermato che, sebbene le “fake news non siano una novità”, la loro portata attuale è “senza precedenti”. E ha aggiunto: “È davvero spaventoso che le ‘fake news’ guadagnino trazione e accettazione rapidissimamente, e questo grazie soprattutto agli algoritmi dei social media”.

Martin ha detto che le “fake news” devono essere “smontate entro 30 minuti, prima che abbiano presa”.

Esther O’Callaghan, fondatrice e CEO di hundo.xyz, ha espresso preoccupazione per la diffusione di “disinformazione e idee estreme” che “in realtà finiscono per essere molto insidiose”, chiedendosi “come facciamo ad assicurarci di spingere [gli utenti online] nella direzione di cui parli e non in un’altra?”

Come riportato in precedenza da The Defender, il concetto di “nudging“, derivante dal campo della psicologia comportamentale, è stato utilizzato da governi e funzionari della sanità pubblica per “incoraggiare” determinati comportamenti, come l’adesione alle restrizioni legate alla COVID-19.